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In un brutto Lunedì temporalesco, adornato di fulmini ed accompagnato da una colonna sonora composta da tuoni, nella sala d'attesa dell'ospedale della cittadina di Balnea Nova, una ruvida sedia di plastica rossa sorreggeva un giovane ventenne piegato su di sé, in lacrime e con le mani fra i capelli.

Nonostante fossero passate da poco le 10:00AM, la totale assenza di luce dovuta alle nubi temporalesche che facevano da schermo al cielo, pareva sera tarda.
Uno scenario triste e non adatto a chi ha già il proprio umore sotto le scarpe, esattamente come nel caso di Alessandro Santi che dopo essersi alzato in piedi, raggiunse la finestra più vicina per scrutare il cielo, venendo costantemente distratto dalle ripetute gocce di pioggia che s'infrangevano contro la lastra di vetro di fronte al suo viso provato duramente.

Dieci anni prima circa, aveva perso suo padre a causa di un incidente aereo. Il povero uomo era a bordo di un velivolo diretto negli Stati Uniti, per partecipare assieme ai suoi amici ad una convention di medici. A quanto risultò dalla scatola nera, la disgrazia era stata causata da un motore in avaria. Erano stati molti i dispersi in quella disgrazia, compreso suo padre ed i suoi amici, ma dopo dieci anni la speranza che il genitore si facesse vivo in Alessandro si era affievolita sempre più fino a sparire del tutto.

Dal corridoio illuminato talmente male che assieme al contrasto delle pareti grigie e bianche facevano più male che bene agli occhi, Alessandro era riuscito a vedere grazie alla superficie riflettente della finestra prima e, nelle sue iridi nere poi, una sagoma procedere nella sua direzione: un uomo sulla quarantina dai capelli castani e gli occhi verdi, abbastanza spaesato e visibilmente infastidito dalla disgrazia per la quale si trovavano lì.
Davide Irto, compagno di sua madre dalla bellezza di tre anni, che Alessandro aveva vissuto come un inferno neutro, a contatto con un estraneo che tale era rimasto per lui nonostante i suoi sforzi.

- Dov'è? - proruppe Davide a voce bassa ma prepotente.
Alessandro voltò nella sua direzione guardando attraverso di lui e rispose: - Sta prendendo un caffè assieme ai medici, ridendo e scherzando su come è avvenuto l'incidente -.
- Bada a come parli ragazzo, o non so cosa potrei... -
- Cosa potresti farmi? Sentiamo, sono tutt'orecchi figlio di puttana. -

Davide quindi lo afferrò per il colletto della camicia, tirando indietro il pugno chiuso intento a colpirlo duramente. E lo fece! Diamine se lo fece. Lo colpì in pieno volto facendogli sputare sangue. Il giovane di tutta risposta si avventò su di lui, gettandolo a terra e dando vita ad una zuffa di dimensioni epiche nella quale se l'erano suonate entrambi di santa ragione. Alessandro era riuscito a spuntarla per i suoi vent'anni in meno e la rissa era stata sedata dalle guardie di sicurezza, spalleggiate da alcuni infermieri pronti a somministrare tranquillanti tramite iniezione.

Per Alessandro non era affatto un buon momento e, con i nervi a fior di pelle la sua soglia di tolleranza nei confronti di Davide era molto più al di sotto della norma. Non poteva sopportare la presenza forzata di quello stronzo egoista ipocrita, come lo definiva spesso lui. No, non con sua madre in quelle condizioni.

Valentina Reali quel giorno era stata coinvolta in un catastrofico sinistro avvenuto a causa di una carreggiata sdrucciolevole per via della pioggia in accoppiata con un conducente alticcio in contromano. In seguito al tremendo botto, una negoziante che aveva assistito in tempo reale alla collisione non esitò nemmeno un attimo a chiamare i soccorsi: se fosse stato per l'ubriacone, - ... e vhaffhanchulo a ueste botttane al v-volante, che non sanno guidare e... e... sono solo capaci di fare scena. Guardatela, sta f-fingendoh! È phaleseh-eh. Non si è fatta niente ed io sto bene, non preoccu...tevi per meee. - Valentina sarebbe rimasta in quella scatola di sardine a cui era ridotta la sua automobile.
E sia ringraziato Dio che l'ambulanza era arrivata in tempo, che altrimenti sul serio sarebbe morta sul colpo date le condizioni pietose con le quali era arrivata al pronto soccorso.

- Salve - annunciò la sua presenza un medico lungi dall'augurare loro il buongiorno, - sono il dottor Francesco Grimaldi; seguo il caso di Valentina Reali. Vogliate farmi la cortesia, chi di voi due è il familiare più prossimo alla paziente? - chiese solo per pura cortesia. Davide mosse un passo in avanti, noncurante della presenza di Alessandro, scavalcandolo maleducatamente dicendo ad alta voce: - Sono io, il suo compagno! -

Il medico osservò l'uomo con uno sguardo cagnesco e schifato dalla sua meschinità , spiegandogli che il protocollo in questi casi prevedeva che i pazienti potessero ricevere le prime visite solo ed esclusivamente dal proprio nucleo familiare.
Fece quindi cenno al ragazzo di seguirlo: egli aveva capito immediatamente facendo un cenno col capo ed accennando un sorriso di ringraziamento, ricambiato dal medico, che gli aveva posato un braccio sulle spalle, osservandolo amichevolmente in attesa di ottenere un qualcosa da lui.

- Mi chiamo Alessandro, signore. -
- Davvero un bel nome -, rispose il medico che pareva aver riacquistato vitalità - vieni ti porto da tua madre. Purtroppo però è molto debole e necessita di riposo; mi duole non potervi far passare più tempo insieme del dovuto, credimi... -
- Le credo sulla parola Dottore. Se fosse stato altrimenti avrebbe condotto quel bastardo da lei al mio posto. -
- In effetti la faccia da stronzo l'aveva -, convenne Grimaldi ed entrambi risero un po' assieme.

Attraversarono un lungo corridoio, alla fine del quale si trovava la stanza che ospitava Valentina Reali. Pallida e con le occhiaie tumefatte era collegata ad una moltitudine di cavi che ne monitoravano le condizioni mediante attrezzature specifiche; un quadretto raccapricciante per il povero Alessandro che osservava la madre dalla finestrella della porta.

Grimaldi gli strinse forte la spalla per infondergli coraggio: - Va' da lei, rimani pure un po' di più ma non esagerare. Una volta uscito da qui, chiedi a qualcuno degli infermieri di condurti da me, intesi? -
Alessandro entrò nella stanza in punta di piedi, cercando di fare il meno rumore possibile. Reggendo ancora la porta con la mano, si rivolse a Grimaldi sottovoce: - Non credo che ci vorrà molto. Credo che la lascerò riposare -.
- In questo caso ti aspetterò qui. -

- Mamma? - chiamò suo figlio timidamente, con l'accortezza di chi sussurra per non turbare la quiete di un sito mistico. Lei aveva aperto gli occhi a fatica, riconoscendo il figlio non tanto per la sagoma sfocata che appariva ai suoi occhi quanto per la sua voce.
- Alessandro sei qui... -
- Si ma'. Com'è successo? -
- Un brutto incidente lungo la strada principale - rispose lei sorridendo, - sai mi sento davvero ridotta a uno straccio. -
- Non oso immaginare ma'... - le diede dato un bacio sulla fronte. - Mi piacerebbe parlare con te ancora un po', anche se non ci siamo detti praticamente nulla ma... mi basta averti vista per ora. Voglio che tu ti riposi ma'. Tornerò più tardi va bene? -
Lei aveva annuito, lasciandosi andare alla sua sonnolenza assopendosi in un batter d'occhio.

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