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Dalla cantina di casa sua, Denise Blanc, stava armeggiando con qualcosa. Il suo sguardo andava spesso al pozzetto di luce altezza del marciapiede all'esterno, dal quale si potevano vedere le caviglie dei passanti. Da quest'ultimo l'acqua piovana gocciolava lungo il muro, fino a raggrupparsi in una piccola pozza. Attendeva visite; per arrivare a suonare il campanello di casa sua e annunciarsi, occorreva passare da lì ma da laggiù non si sentiva un bell'accidenti, motivo per il quale i suoi occhi erano alla costante ricerca di un passante dalle oscene calze a rete nelle quali ciuffi di pelo spuntavano come erbacce. Non appena fosse arrivato, sarebbe schizzata di sopra riservandogli una riverenza da re.

Udì un rumore di tacchi giungere alle sue orecchie, si voltò di scatto e tutto ciò che vide furono due glabre, lucide e snelle caviglie su tacco dodici. Con enorme delusione costatò che non si trattasse di chi stava aspettando, bensì di una semplice passante, ma non doveva mancare ormai molto al suo arrivo.

- Ormai non dovrebbe mancare molto - disse sovrappensiero, gustandosi ogni singolo passaggio del piano che aveva ingegnato.

Denise aveva pensato a tutto, carica d'odio com'era e se l'era legata al dito senza giustificazione alcuna. Jacopo per lei era un vigliacco, uno sporco sbirro non diverso dagli altri, com'era solita definire lei gli uomini che calzavano tale divisa. L'intervento di Pompeo, che era servito a farla desistere forzatamente dai suoi vandali intenti, non era per niente funto da materasso al suo morale in picchiata. Il pompiere l'aveva afferrata tra pollice e medio, proprio come con un mozzicone di sigaretta, e facendo leva sul primo l'aveva scacciata a distanza: un'onta.

Per quanto nervosa fosse, però, doveva stare attenta a ogni singolo movimento che faceva. Domare i nervi le costava una fatica immane; il tempo le sembrava scorresse più lentamente di una lumaca nei giorni di secca. Questo valeva solo per il suo seminterrato. Al di fuori dell'abitazione, invece, il flusso del tempo scorreva anche più velocemente del dovuto.

Un leggero rumore di passi, di suole sul bagnato, iniziava a giungere in crescendo e in modo graduale. Udiva anche il principio di un brusio che aumentava pari passo con il sentore precedente. Denise sbirciò distrattamente dalla fessura ma di Pietro Bollo non vi era ancora traccia. Poco male, i risultati iniziali avevano di gran lunga superato le sue aspettative, pertanto, un sorriso luminoso e insolito per lei le impreziosì il volto. Pietro sarebbe stato orgoglioso di lei, entusiasta in seguito alla rivelazione del piano d'azione.

Una voce chiamò dalla strada; un viso maschile più che curato apparve dalla finestrella: - Denise, sei qui sotto? Sto suonando il campanello da almeno cinque minuti, cara, di questo passo mi verrà un crampo all'indice e un callo al polpastrello e sarebbe una cosa terribile; ho appena terminato la seduta di manicure! -

Gli occhi della donna s'illuminarono: Pietro era finalmente giunto da lei. Non perse tempo, salendo fulminea le scale che collegavano il seminterrato con casa sua e andò ad aprire.

- Denise, cara, ma cosa ci fa qui fuori tutta questa gente - domandò Pietro con civetteria avendo intuito qualcosa, mentre con una mano giocherellava con una ciocca di capelli.

Il suo fidato braccio destro non rispose. Era a conoscenza della stravaganza di Pietro, di gran lunga superiore al normale ed era rimasta assorta nel contemplare la sua ultima trovata: due orecchini d'oro sfarzosi quanto orrendi, che rievocavano un volatile che reggeva un anello con il becco. - Denise...? -

- Scusami, Pietro. Non era mia intenzione squadrarti - si scusò imbarazzata. - So cosa fissavi. Lascia che ti dica una cosa: i miei orecchini sono semplicemente bellissimi. Chiaro? -

La domanda posta inizialmente da Pietro fu ignorata. Denise fece strada al suo punto di riferimento sino in cantina; una volta arrivati Pietro storse il naso per l'olezzo che aleggiava al suo interno.

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