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Per estinguere l'incendio successivo all'esplosione, che causò rilevanti danni ai possedimenti dei proprietari terrieri, erano state impiegate anche le forze delle cittadine limitrofe presenti nel comprensorio. Una sola autopompa e quattro vigili del fuoco non potevano bastare.

L'area colpita dalle fiamme si era tramutata in una cinerea e melmosa landa maleodorante, ornata dalle varie carcasse arrostite degli animali di piccole e medie dimensioni presenti nei paraggi. In prevalenza si trattava di volatili ridotti a polli arrosto da pattume. Più bruciati dei tacchini del Ringraziamento americano, dimenticati nei forni delle cucine da cuoche sbadate e alticce. I vari alberi presenti erano stati spogliati del proprio manto e ridotti ad attrezzi di scena da teatro noir di quint'ordine.

Le forze presenti sul campo, inoltre, si erano occupate dell'ispezione delle macerie, in cerca del numero dei corpi pari a quello noto di ostaggi catturati dall'assassino. Per farlo erano state adoperate diverse macchine per lo spostamento della terra, tra le quali ruspe ed escavatrici. Erano stati rinvenuti quattro corpi; ne cercavano tre.

Ivana Bolgia era venuta a conoscenza dei fatti accaduti. Pertanto, preoccupata, si era diretta senza perdere tempo all'ospedale, dove Jacopo riposava sonnecchiante. Non sapeva perché il suo cuore tuonasse nel petto e al contempo perdesse qualche colpo durante la sua galoppata, ma lo avrebbe scoperto ben presto. Giunta all'accettazione, chiese all'infermiera che presidiava il banco dove si trovasse la camera che ospitava il maresciallo. Ottenute le informazioni richieste, si fiondò immediatamente verso la scalinata in direzione del primo piano. Stanza 15C.

La furia della sua marcia si arrestò man mano che la distanza dalla meta si accorciava. Presa dal pensiero che Jacopo stesse dormendo, non aveva per niente intenzione di svegliarlo. Non dopo quello che aveva passato, anche a scapito della voglia che aveva di sentirsi rassicurare sulle sue condizioni da lui stesso. Davanti ai suoi occhi apparve la targa con inciso il numero della stanza che cercava. La porta era chiusa.

Con tutta l'immensa grazia che aveva a sua disposizione , ruotò la maniglia dolcemente. Un leggero e delicato click la invitò a spingere, molto lentamente, la porta in avanti. Sporse metà della sua testa con fare schivo, quasi avesse paura di essere scoperta da qualcuno in atteggiamenti sospetti. Ebbe poi un sussulto; si mise una mano sulle labbra serrandole, chiedendosi come potesse essere stata così stupida per non aver bussato delicatamente sulla porta prima di aprirla. Se Nora fosse stata presente all'interno? Che cosa avrebbe potuto pensare?

Ma Nora non era lì. C'era già stata e questo lei non poteva saperlo e non lo avrebbe mai saputo. Entrò e chiuse la porta alle sue spalle, sempre delicatamente. Con le mani ancora ancorate al pomello si poggiò di schiena su quest'ultima, osservando in silenzio Jacopo immerso nella tranquillità del suo torpore. Le pupille di Ivana si dilatarono e si lasciarono scappare due lacrime che le rigarono le guance. Stava bene, un po' ammaccato forse, ma bene. Due rose le apparvero sulle candide guance, messe in risalto dalla sua chioma vermiglia.

Il sollievo che provava le provocò un principio di formicolio alle piante dei piedi (che non calzavano tacchi questa volta) che si diramò verso l'alto fino a confluire in zone piuttosto intime. Si mosse verso di lui, sentendosi leggermente umida. Si fermò davanti al suo lettino e liberò altre due pesanti lacrime per occhio, che si asciugò con il dorso della mano stando ben attenta a non rovinarsi il trucco.

- Oh, Jacopo - sibilò in un filo di voce, accarezzandogli la guancia tumefatta e ascoltando concentrata il suo respiro regolare. Gli accarezzò delicatamente anche i capelli, poi sorrise. - Ci hai fatto prendere un bello spavento, eh? - L'espressione del viso di Ivana si fece insolitamente dolce. Anche lo stesso Jacopo avrebbe fatto fatica a riconoscerla, sentendosi molto a disagio. Forse si sarebbe sentito in modo peggiore se fosse stato cosciente in quel frangente: Ivana si chinò e gli rubò un bacio.

Si sentiva più che umida e ora la nebbia si era diradata. Indietreggiò adagio, spaventata, con l'aria di chi una volta persa la pazienza e in un momento di debolezza si sporca le mani di sangue. Jacopo emise qualche colpo di tosse e lei fu sul punto di urlare per il timore di essere stata scoperta. Non successe nulla. Ivana uscì quindi dalla camera in punta di piedi, esattamente com'era entrata, e chiusa la porta corse a perdifiato verso il distributore di cibo e bevande. Aveva bisogno di qualcosa, qualunque cosa che non fosse un caffè.

- Ivana, ti senti bene? - Il medico legale aveva la fronte poggiata sulla vetrina d'esposizione degli articoli e quella voce la fece rimanere sgomenta. La conosceva fin troppo bene, il sangue le si gelò nelle vene; voleva morire in quello stesso istante per risparmiarsi la più grande delle vergogne mai provate. Era Nora. - Sei piuttosto pallida, ti senti bene? Pensi di avere bisogno di un caffè o un po' d'acqua magari - le chiese apprensiva. In effetti Ivana era piuttosto pallida.

- No, davvero, sei molto gentile e ti ringrazio. Ho giusto inserito adesso le monetine - disse Ivana declinando la gentilezza garbatamente. Si voltò verso Nora e le sorrise. Quando i suoi occhi incrociarono quelli di lei, mai prima le era successo di considerare quell'umidità che si era estesa fino alla base delle cosce qualcosa di così vergognosamente sporco. Era sempre stata in ottimi rapporti con Nora, aveva appena baciato suo marito, provato attrazione per lui e sua moglie le aveva appena mostrato (come già successo spesso in passato) una cortesia genuina, che raramente si riscontra in qualcuno, di quelle che spiazzano.

Si giustificò con una mezza verità: - Con tutte queste morti è un periodo abbastanza difficile anche per me. Mi sento leggermente turbata e quando ho saputo di tuo marito... ho temuto il peggio -. Vide la tensione diminuire sul volto di Nora che annuiva comprensiva. Ivana si sentì squallida, ma almeno non era accaduto nulla di rilevante. - Sono venuta a trovarlo, è sveglio? - Nora scosse la testa. - Ancora no. Non dovrebbe mancare poco al suo risveglio, ha dormito tantissimo fin ora - rise.

- Grazie al cielo - disse Ivana portandosi una mano al petto. Emise un sospiro e poi si accorse di essere stata piuttosto scortese, lasciando trapelare qualcosa che mai doveva essere scoperto. Tutta la vicenda era partita da un'aggressione nei suoi confronti. Stupida, Ivana, sei veramente una stupida! - Tu invece come stai, Nora, niente di rotto? - domandò squadrandola in cerca di qualche evidente acciacco, da buon medico qual era. - Sto benone, ti ringrazio. Mi duole il braccio destro, ho preso una bella botta nel momento in cui Massimo Rinaldi mi è saltato addosso trascinandomi a terra. I medici dicono che non è nulla... - disse osservandosi poi il braccio dolente con fare diffidente.

- Fa' vedere - le disse Ivana, prendendole delicatamente l'arto. Entrambe conoscevano la storia di negligenza da pare di un particolare medico nei confronti di uno sventurato giovane al quale avevano interpretato male una radiografia semplicissima. Meglio non rischiare. Ivana lo mosse in diverse angolazioni, tutte previste dai movimenti naturali dell'articolazione e ne dedusse che era davvero tutto in regola, fatta eccezione per un leggero versamento di liquido sinoviale che si sarebbe assorbito in poco tempo.

- È davvero una giornata di merda - si lasciò scappare Nora. Quell'esternazione diede il via a una tranquilla e amichevole conversazione, dalla quale il medico legale apprese dell'attacco ad Alessandro Santi oltre che alla completa panoramica dello scempio compiuto da quello squilibrato assassino. Valeva a dire che Ivana avrebbe ricevuto ben presto nuove visite in obitorio, di quelle spiacevoli. Poco dopo fu assieme a Nora a assistere al risveglio di Jacopo, e ancora più tardi avrebbe fatto la conoscenza di Simone Ferruccio, con il quale avrebbe conversato fino ad accettare un'uscita con lui. Doveva seppellire quanto successo mentre Jacopo dormiva.

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