14 - Kevory

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«Kevin, è pronto da mangiare.»

«Vattene...» sussurrai tra le lacrime.

«Perché non vuoi raccontarmi cosa ti è successo?»

Non ebbi più voce per rispondere, mentre un nuovo singulto mi sconquassava lo stomaco.

Erano state le ore più difficili della mia vita: insieme a Trey in quel camerino, dove avevo dovuto controllare l'impulso di piangere e quello di scappare, troppo a contatto con il suo intero corpo, quello che emanava un fresco profumo di menta. Ero entrato in casa con il magone in gola e mi ero chiuso in camera, finalmente libero di far fluire le lacrime.

A niente erano valsi gli sforzi di Rory per farmi parlare, non avevo aperto bocca e non ne avevo intenzione. Non importava subirsi un Rory insistente e preoccupato, neanche una Charlotte che mi aveva corrotto con il mio piatto preferito. Non sarei mai uscito dalla stanza. Non fino a quando qualcuno non mi avrebbe detto che fosse tutto uno scherzo pianificato nel dettaglio.

Non volevo crederci, Trey non sarebbe mai stato mio.

«Kevin?»

«Lasciami in pace...» esalai ancora, consapevole che Rory non l'avrebbe sentito.

Picchiò sulla porta. «Per favore.»

Solamente dopo altri dieci minuti, in cui Rory continuò a dire il mio nome e a chiedere cosa mi fosse accaduto, si rassegnò. Rimasi solo, versai altre lacrime, la testa mi scoppiava.

Quanto ero stato stupido a innamorarmi, non facevo che ribadirlo.

Con quel dolore e quel pulsare irregolare del cuore, non seppi come riuscii a trovare un minimo di conforto nel sonno, sprofondando in una dormita buia e sofferta.


* * *


Mi svegliai di soprassalto. Non ricordavo cosa avessi sognato, ma non doveva essere stato qualcosa di confortevole, considerando il groppo che avevo in gola. Sempre che non fosse mai scemato quello che mi aveva accompagnato per metà giornata.

La pancia brontolò, tuttavia non avevo affatto voglia di alzarmi per mangiare, piuttosto, avrei voluto marcire e morire di fame.

Quella era la mia punizione per avvicinarmi sempre troppo alle persone, per lasciare che queste prendessero un posto nel mio cuore, anche quando una vocina nella testa mi ripeteva di stare attento. Perché non le davo mai ascolto?

Avrei dovuto passare i miei giorni cullato dalle calde parole di qualcuno che mi voleva bene, dalle sue braccia, dal suo odore.
Era quello che avrei voluto da Trey.

Ma lui non me lo darà mai come lo voglio io.

Ormai era ben chiaro. Io non ero Malory, non potevo nemmeno essere paragonato a lei, il mio amore per lui non sarebbe stato lo stesso visto con i suoi occhi.

Voltai lo sguardo sulla sveglia, scoprendo che erano le tre e mezza di notte. Sentivo che il sonno non mi avrebbe più fatto visita, perciò mi alzai, grattandomi la testa scompigliata. Guardai fuori dalla finestra: non c'era nessuno in strada, le luci degli appartamenti erano spente, mentre quelle dei lampioni mandavano un lieve bagliore giallo, uno di essi andava persino a intermittenza, rendendo il tutto più inquietante.

Sentii il sapore di quel bacio sulle labbra, era buonissimo, ma non lo era stato abbastanza.

Io non sarei mai stato abbastanza.

Un altro singhiozzo mi colse. Non meritavo di soffrire in quel modo, cosa avevo fatto di così sbagliato? Il respiro diventò affannoso.

Basta, non ce la facevo più.

Come Guardare il SoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora