68 - Capire

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Era da quasi tre giorni che non avevo notizie di Rory e il mio umore non era dei migliori. Non avevo idea di cosa fosse successo, ma ero convinto che c'entravano i suoi genitori: dovevano averlo offeso in qualche modo, doveva essere stato talmente grave che Rory non aveva persino voglia di sentirmi.

Non mi aveva neppure fatto gli auguri di Natale, non rispondeva ai messaggi o alle chiamate, adesso il suo telefono risultava irraggiungibile. Stavo impazzendo, non sapevo come avere sue notizie. Kevin era nella mia stessa situazione e gli avevo chiesto di avvisarmi se mai Rory l'avesse contattato.

Ero diventato scorbutico: non mi ero neanche goduto il pranzo di Natale, troppo in pensiero per lui. Avrei soltanto voluto sentire la sua risata civettuola e la sua voce squillante che mi diceva qualche sozzeria, mi bastava anche un solo, merdoso messaggio.

Mi stravaccai sulla sedia, davanti a me fumava una cioccolata calda e sperai che mi potesse tranquillizzare, insieme a qualche programma televisivo di bassa qualità. Prima, però, sbirciai il profilo Facebook di Rory e, come mi aspettavo, non si era collegato e non postava nulla dal pomeriggio della vigilia.

«Che palle...» Mossi nervosamente la gamba sinistra e soffiai sulla cioccolata mentre rigiravo il cucchiaino. Il telefono squillò, lo portai all'orecchio e risposi: «Ciao, Kevin. Novità?»

«Ciao, Warren...» mormorò e lo sentii prendere un respiro profondo.

«Kevin? Stai bene?»

«Devo... devo dirti... una cosa...»

C'era qualcosa nella sua voce, qualcosa di preoccupante, oltre al pianto che sembrava trattenere. Mi misi seduto composto e il cuore balzò in gola. «Che è successo?»

«Riguarda Rory.»

«Ti ha chiamato?» ribattei celere. Spalancai gli occhi e il cuore pulsò ancora più forte, era bastato il nome della mia principessa per catturare tutta la mia attenzione.

«No, lui...» Mi accorsi che stava davvero piangendo e io stavo per svenire. «Rory...» provò a dire, ma fece un'altra pausa. «Rory non c'è più... è... è...»

Impallidii. Un attacco di nausea mi fece venir voglia di ribaltare la tazza e riversare la cioccolata sul tavolo e sul pavimento. Non mi raggiunse più alcun suono, poiché le orecchie si ovattarono, tuttavia riuscii a cogliere qualche altra parola.

Ucciso.

Genitori.

Vigilia.

Non era più Kevin a parlare, doveva essere Trey. Non aveva importanza, avevo scollegato il cervello e, se non fossi stato sicuro che batteva impetuoso, anche il cuore.

Mi scivolò il cellulare di mano, sbatté sulla tovaglia rossa a tema natalizio e fissai il vuoto.

Cos'ha detto?

Non l'avevo capito.

Mi alzai e camminai a passo lento fino alla mia camera, in trance. Posai gli occhi ovunque: dapprima sulla scrivania, poi sul letto e sulla finestra con la tapparella alzata per metà. La stanza era illuminata solo in parte, io non ero colpito dalla luce.

Dov'era il mio sole?

«Non esiste più...»

Sussurrai così debolmente che non poté essere sentito neppure da me.

Fu uno scatto improvviso. Mi lanciai sulla scrivania con un impeto di rabbia; in men che non si dica, tutto ciò che era sopra finì sul pavimento: i libri dell'università fecero un rumore sordo, le matite e le penne rotolarono ovunque, qualcosa si ruppe e non seppi nemmeno cosa.

Come Guardare il SoleWhere stories live. Discover now