Fratelli

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Erano passati dodici anni dalla fine della guerra, ma la sete di espansione di Mu non si era affatto placata: città dopo città, il suo dominio si era espanso e i focolai di guerra non si erano assopiti, alimentati anche dai due figli gemelli di Amyntas.

Avrebbero fatto di tutto pur di brillare agli occhi del padre, erano disposti a fare qualsiasi cosa pur di avere il trono, ma il re ne era felice: vedere l'intenzione di Hesperos ed Esi di tenere alta la nomea dei temibili guerrieri di Mu lo riempiva d'orgoglio. Tuttavia, non riusciva a essere sereno poiché lo preoccupava più il problema della successione al trono: Hesperos era testardo, faceva di testa sua, non ascoltava mai gli altri e sperperava troppo denaro in donne, cibo e vino - non proprio il comportamento che un principe avrebbe dovuto tenere.

Dal canto suo, Esi, nonostante la giovane età, aveva già dato prova del proprio valore in guerra: aveva vinto in una guerricciola di poco conto, ma aveva vinto. Aveva accompagnato spesso il padre nei suoi viaggi politici, dimostrandosi abile anche nel parlare. Ma quello che sembrava il figlio perfetto aveva il vizio delle scommesse e si interessava di teatro. Per Amyntas era più terribile convivere con la seconda passione: con le scommesse almeno poteva imparare a fregare le persone, con il teatro perdeva solo tempo.

Amyntas scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri e si alzò malvolentieri dal tavolo. Era rimasto da solo, dopo aver scacciato i ministri che, da giorni, non portavano altro che notizie di rivolte: il sangue si paga con il sangue, gli aveva detto una volta Ktesias, ma lui non aveva voluto dargli ascolto.

Amyntas afferrò la coppa d'oro di vino, poi, dopo averla svuotata, la appoggiò sul tavolo con forza, dirigendosi verso la grande porta di legno. Due guardie si inchinarono, ma il re non ci fece caso: voleva parlare con i suoi figli.

Sapeva che a giorni sarebbe arrivata l'ammiraglia della flotta di Atlantide con a bordo Ktesias. Stavano scadendo i giorni del patto tra le due città e l'altro re aveva premuto - e ottenuto - che fosse rinnovato.

E quella firma avrebbe significato solo una cosa: per un altro anno ancora Mu non avrebbe potuto mettere le mani sul trofeo più ambito - il tesoro gelosamente custodito nel palazzo di Atlantide.

Quell'accordo non gli permetteva di scatenare la guerra, ma lo sapeva, lo sapeva benissimo, che non sarebbe bastato molto per portare alla sconfitta Atlantide: bastava farli combattere in terra dove la superiorità del suo esercito poteva essere facilmente dimostrata. Il problema era Ktesias che pensava più alla filosofia e all'economia: aveva accettato di malavoglia di seguirlo a Lemuria, poi si era innamorato di quella principessa, ne aveva fatto la regina di Atlantide e gli aveva dato due eredi, di cui il primogenito era un maschio, un matrimonio con uno dei suoi figli era quindi impensabile.

Finché si fosse seduto sul trono, nessuna guerra avrebbe sfiorato le coste di Atlantide.

Ma Amyntas aveva bisogno di oro per calmare le rivolte e le casse di Mu erano state svuotate dalla guerra: non poteva chiederlo direttamente - Ktesias avrebbe subito sospettato dello scopo - e, al massimo, poteva ottenere la mano di Alannis per Hespersos, ma in quel caso avrebbe avuto lui la dinastia di Atlantide in casa - e la cosa non lo rassicurava affatto.

Percorse un corridoio dalle pareti scarne, decorate soltanto da qualche arazzo: lui, a differenza di Ktesias, non amava le arti - le riteneva solo una perdita di tempo, tempo che poteva essere dedicato all'uso delle armi.

Arrivato sulla terrazza, si appoggiò alla balaustra in marmo, dando un'occhiata nei giardini sottostanti. Esi stava seduto sotto un albero, mangiando tranquillamente una mela con un rotolo aperto sulle gambe, mentre Hesperos bilanciava una lancia nella mano. Aveva sentito le loro voci man mano che si avvicinava alla terrazza: si canzonavano a vicenda, come facevano da anni.

Sea of fateWhere stories live. Discover now