Alis

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Per anni, la guerra aveva sfiorato le coste di Atlantide attraverso le voci dei mercanti. Per anni, le trombe non erano squillate per annunciare l'arrivo imminente di un esercito. Per anni, gli Dèi avevano mantenuto la pace.

Ma in un momento ogni cosa sembrava destinata a crollare.

Gli stendardi rossi agitati dal vento interrompevano la monotonia del cielo azzurro e si avvicinavano sempre più: dal momento che per tutti lei era morta, la guerra era arrivata e l'alba che aveva portato il nuovo giorno era stata accompagnata dallo squillo delle trombe.

Kleitos sospirò, lanciando uno sguardo alla piana: l'esercito di Mu si stava disponendo davanti a quello di Atlantide, mostrano la propria superiorità.

«Se solo ci fossimo accorti del loro arrivo li avremmo affrontati in mare» mormorò il generale infilandosi l'elmo.

«Ma così non è stato» gli rispose il figlio stringendo la mano su una lancia, mentre con l'altra teneva le redini del cavallo.

«Tua madre è preoccupata. Non dovresti combattere».

Kyriakos tentennò, indugiando un attimo. «Ho giurato come te di proteggere la nostra città, ho promesso ad Alexandros che gli sarei stato affianco in ogni occasione. Non posso fuggire davanti al pericolo, non oggi, non quando Atlantide ha bisogno di noi».

Kleitos sorrise, Ktesias gli mise una mano sulla spalla. «Quel che apprezzo in questa giornata è il sostegno che state dando. Verrete ricordati per il vostro coraggio nel difendere la nostra città. Non era questa l'alba che avrei voluto...» Ktesias sospirò, rassegnato per il conflitto imminente, per la sete di conquista dei due fratelli. «Perché non hai mai chiesto la mano di Nis? Ci avresti evitato tanti grattacapi... e Alannis sarebbe viva, insieme a noi e Agata probabilmente avrebbe dei nipoti, quei bambini che tanto desiderava».

Kyriakos abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole per tutto quello che aveva fatto a Mu, per l'aver seguito Alannis, per averla amata nonostante le vicende correnti e per tutto quello che non aveva fatto, per quel coraggio che gli era venuto a mancare all'idea di chiedere a Ktesias la mano della figlia, della principessa di Atlantide.

«Non lo so» fu la sua risposta mormorata in direzione del sovrano, prima di allontanarsi a testa bassa, immerso nei suoi pensieri e nella sua preoccupazione. Non aveva mai ucciso nessuno, i duelli con Alexandros e le spade di legno appartenevano ad anni lontani, anni divorati dalla politica che aveva assorbito entrambi. La paura di morire non l'aveva mai sfiorato prima di quella notte, costellata da incubi e dubbi che l'avevano tenuto sveglio per molte ore.

Kyriakos trovò Alexandros seduto su un sasso, teneva la testa china, fissando le mani intrecciate sulle ginocchia mentre i capelli, legati in una coda bassa, gli ricadevano su una spalla. Vicino a lui, in terra, erano appoggiati lo scudo, decorato con motivi floreali, e l'elmo. Era strano vedergli addosso l'armatura che rifletteva i raggi del sole: era un'immagine che mai si sarebbe sognato di osservare con i propri occhi.

«Oh, Kyri. Mio padre ti ha chiesto di nuovo perché tu non abbia sposato Nis, vero? Non avresti quel muso lungo se ti avesse affidato un'ambasceria» chiese Alexandros quando lo vide avvicinarsi con la coda dell'occhio; Kyriakos annuì con un cenno del capo. «Sai cosa dicevano i vecchi?»

«Ne dicono tante di quelle stupidaggini, ma sentiamo anche questa».

«Quando muore un fratello, a chi rimane pare che sia stato strappato una parte del corpo. Nis è viva».

Kyriakos scosse la testa. «È ciò che pensi tu. Non abbiamo notizie, per tutti è morta. Torna con i piedi per terra, non è come vuoi che sia. Nis è morta. E con lei un pezzo di noi».

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