Conseguenze

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«Bene così» sentenziò Hesperos allontanandosi. Alexandros lo guardò senza riuscire a calmarsi: sapeva che lo zio e l'amico fossero in pericolo, sapeva che probabilmente non avrebbero visto l'alba del giorno seguente. Strinse le mani sulla lira facendo sbiancare le notte: aveva paura, sentiva ogni muscolo del corpo teso per quella situazione, ma, nello stesso momento, non riusciva ad alzarsi, si sentiva legato a quello sgabello di legno decorato. Abbassò lo sguardo sulle corde, sfiorandole d'istinto con le dita e lasciando sfuggirsi una nota, mentre sentiva i passi di Hesperos allontanarsi. 

Il sovrano non l'aveva degnato di uno sguardo: aveva fatto un cenno al soldato che l'aveva seguito fuori dalla camera. I passi di entrambi rimbombavano nei corridoi, accompagnati dal lieve fruscio dei mantelli e della veste di Hesperos. 

Avanzò da solo nella sala del trono, continuando a tenere gli occhi fissi sul trono. Oltrepassò il braciere centrale, ignorando il crepitio dei carboni ardenti: era certo che Alexandros sapesse della rivolta e del fatto che ci fosse anche qualcuno di conosciuto a capo, ma che fino a quel momento si era nascosto nell'ombra. Aveva messo gli occhi su quasi tutti i nobili più vicini a Ktesias, aveva ottenuto informazioni su tutti, si era fatto un'idea di coloro che sarebbero stati più propensi alla vendetta del re ucciso che all'accettazione del suo regno. 

Si fermò, scosse la testa, ripetendosi che mai e poi mai Kyriakos avrebbe fatto il doppio gioco. Era troppo debole da solo, non era stato capace di far valere le sue ragioni nella piana di Alis, figuriamoci essere a capo di una rivolta contro il sovrano. Aveva paura di lui, aveva forse paura di perdere la libertà che il padre si era conquistato. Si diresse verso una finestra a cui si appoggiò, osservando con poca attenzione la città: una colonna di fumo nero si alzava dai quartieri vicino al porto, sicuramente il posto dove erano scoppiati i disordini. Una ciocca di capelli rossi mal trattenuta dalla corona gli cadde sugli occhi.

Possibile che quella gente fosse così scema da continuare a sollevare rivolte pur sapendo che i precedenti tentativi erano finiti in un lago di sangue e con una serie di condanne non indifferenti?

Si voltò sentendo l'ormai familiare tintinnio delle cavigliere di Alexandros, che gli si fermò a poca distanza, facendo solo un piccino inchino. L'avrebbe costretto a inginocchiarsi, Hesperos non sopportava che l'altro continuasse a mantenere una qualche dignità regale.

«Ti vedo crucciato».

«Sono preoccupato» ribatté Alexandros avvicinandosi. Hesperos alzò entrambe le sopracciglia.

«Tu sei preoccupato? Conosci forse qualcuno invischiato nella rivolta? Parla pure liberamente, a momenti le mie guardie porteranno qua i responsabili: non parlare non servirà a proteggerli». Hesperos agitò una mano, continuando a guardare negli occhi Alexandros.

«No. Io non so niente» mentì Alexandros trattenendosi dal mordersi la lingua: Kyriakos l'avrebbe rimproverato per non aver detto la dolorosa verità, ma in quel momento lui voleva solo proteggere l'amico.

«Sono preoccupato per il mio popolo. Sono mesi che ordini stragi: loro vivono nella paura».

Hesperos si voltò nuovamente verso la finestra. «Ktesias è morto per mano mia e il regno adesso è mio. Ciò che ordino non ti dovrebbe interessare ora che non sei altro che uno schiavo».

Alexandros strinse i pugni, cacciando indietro le lacrime: il ricordo del padre morente davanti ai propri occhi era ancora troppo vivo per non procurargli dolore. Sua madre, la regina Agata, era reclusa in una tenuta di campagna, lontano da quella corte che l'aveva accolta e amata come una figlia all'arrivo da Lemuria. Della sorte di Alannis non aveva notizie: rifiutava di credere a ciò che diceva Hesperos, al fatto che fosse morta con la macchia dell'adulterio. Tutto quello che famiglia per lui, non era diventato altro che polvere, che un pezzo di stoffa stracciato e calpestato.

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