Oracoli

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L'estate aveva lasciato il posto all'autunno e quest'ultimo aveva fatto posto al gelido inverno. In quell'anno di cambiamenti, il primo del regno di Hesperos, la situazione era precipitata al punto che in giro si era sparsa la voce che il regno degli dei fosse finalmente giunto al suo termine e in molti avevano interpretato la nevicata che aveva colpito Atlantide come un segno. Il clima caldo dell'isola non permetteva che un evento accadesse spesso: era raro vedere le statue, le strade e i tempi coperti da un lieve strato di neve. Ogni cosa pareva avvolta da una calma che il regno di Hesperos sembrava aver cancellato e per una volta, la notte non era animata dalle grida di rivoltosi che si scontravano, cercando invano la vittoria, con le guardie del sovrano, imbrattando di sangue muro e strade.

Le tasse avevano stroncato l'economia e il porto, una volta meta di navi di ogni paese e città, ora era quasi deserto. Le accuse fioccavano e nessuno si fidava più di nessuno.

Ed Hesperos ne era contento: chi osava opporsi al suo potere, finiva sconfitto. La lezione impartita ai congiurati di Niketas e l'esilio dello stesso e di Kyriakos non erano servite a calmare le rivolte, anzi, le avevano aumentate. Ma era anche aumentato il numero di coloro che finivano decapitati o gettati nelle celle da cui non sarebbero usciti.

Per una notte, la furia di Hesperos si era calmata, ma Alexandros non aveva chiuso occhio, temendo un qualche arrivo improvviso del sovrano.

Aveva aspettato fino al mattino, ma considerando il momento propizio, aveva deciso di avanzare una richiesta al re - la prima, da quando Hesperos gli aveva tolto il trono.

Camminava lentamente, come temendo di voler spezzare il silenzio con il suono delle cavigliere che titillavano a ogni passo. Trovò Hesperos immerso nella lettura, non l'avrebbe mai detto, seduto vicino a un focolare e avvolto in un mantello di lana.

«Che desideri, Alexandros?»

Il tono freddo del sovrano fece congelare sul posto Alexandros, che riuscì comunque a riscuotersi dalla paura.

«Voglio andare a trovare mia madre».

Hesperos lo squadrò da capo a piedi. «Non ho niente in contrario, da quant'è che non la vedi?»

«Da quando...» Alexandros strinse i pugni, abbassando lo sguardo. «Da quando l'hai relegata in campagna».

Hesperos sogghignò. Non l'aveva vietato, ma Alexandros non era mai andato, temendo una reazione da parte sua. Hesperos era consapevole di mettere paura all'altro, quel principe che di regale aveva conservato solo il sangue.

«Vai pure. Anzi no, ti accompagno. Non sei abituato alla neve, moriresti assiderato. Prendi un mantello di lana, ti servirà».

«Perché questa gentilezza? Non è da te».

Hesperos appoggiò il rotolo, l'Iliade, alzandosi lentamente. «Ti riferisci forse al fatto che ormai la notte mi diverta solo con te? Vedi, ho abbandonato ormai da tempo le etere, hai catturato la mia attenzione».

«Dovrei esserne felice?»

«Io direi di sì. Non mi respingi più, non combatti come le prime notti. Non mentirmi, desideri la mia compagnia?» gli chiese Hesperos sollevandogli il mento.

Alexandros strinse i pugni, fissando disgustato il sovrano, ma nell'animo disprezzava sé stesso, il suo corpo che lo aveva tradito in presenza di Hesperos, la mente che l'aveva bloccato nel respingere l'altro che, ubriaco, l'aveva spinto contro il muro e l'aveva baciato.

«Sì» rispose in un sussurro Alexandros, vergognandosi di sé stesso e dell'attrazione sbagliata che provava verso Hesperos, la stessa che gli aveva impedito di prendere una moglie. Si sentiva debole, incapace di vendicare anche la sorella, visto che era attratto del responsabile della sua morte.

Sea of fateWhere stories live. Discover now