Ricordi

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Alexandros spostò la mano su quella di Hesperos, cercando di mantenere il più a lungo possibile quel contatto.

Eppure, per quanto il corpo tendesse verso il sovrano, per quanto ricercasse una vicinanza, sentiva lo stomaco stringersi, impedendogli di godere fino in fondo di quei momenti – come ogni volta.

Strinse la mano, facendo sbiancare le nocche e allontanandosi di scatto, cercando di ignorare la morsa che gli stringeva lo stomaco.

«Non dovremmo» riuscì a mormorare, abbassando gli occhi ed evitando in ogni modo di incrociare lo sguardo di Hesperos.

«Perché?»

Solo in un'altra occasione aveva sentito l'accento duro del sovrano ferirlo nel profondo.

Per mesi aveva cercato di togliersi dalla mente gli avvenimenti di Alis, per mesi non ci era riuscito, continuando a sentire prima bruciare e poi tirare la pelle martoriata dalla stessa spada che aveva strappato la vita a Ktesias.

Eppure, quel che ricordava meglio era il ghigno disteso sul volto di Hesperos, sopra cui le torce già facevano brillare l'oro della corona.

«Perché?» ripeté Hesperos, allungando una mano verso quella di Alexandros, il principe reso schiavo da un destino fin troppo crudele, che però ritrasse la propria, sistemandola davanti alla bocca, mentre l'altra era andata a stringere una pietra sporgente, incurante dei graffi che avrebbe ricevuto.

Senza dire una parola, Alexandros si sbilanciò, atterrando con un tonfo attutito sulla neve. Hesperos si morse un labbro, stringendosi nel mantello mentre lo guardava allontanarsi; abbassò lo sguardo sulle mani, di cui distingueva appena i contorni sotto la flebile luce della luna. Sapeva di quanto e quale sangue si fossero macchiate, ma in quegli istanti precedenti, la presenza di Alexandros e quel contatto che c'era stato tra loro gli avevano dato l'idea che avessero tolto più sporco dal suo corpo rispetto a qualsiasi bagno potesse fare.

Ricordava l'acqua che si tingeva di rosso, il sangue ormai rappreso che scivolava via dalla pelle. Ricordava bene quel momento in cui era convinto di poter cancellare ogni segno di quel che aveva fatto. Era successo, sì, ma solo dalle mani: si era illuso di poter superare la morte di Ktesias, di poterlo dimenticare come uno dei tanti che aveva ucciso e, invece, continuava a vedere la stessa paura che era balenata negli occhi del sovrano prima che la spada lo trafiggesse anche in quegli di Alexandros.

La prima volta era successo appena pochi giorni dopo la battaglia: lui aveva un regno da governare ormai e Alexandros non era altro che un ostacolo. Non avrebbe mai detto che la stessa persona che aveva cercato di difendersi rannicchiandosi ai piedi del trono, dopo molte lune avrebbe trovato il coraggio di parlargli, sputandogli in faccia le colpe.

Non avrebbe mai detto che Alexandros avrebbe nuovamente protetto i nobili che tramavano contro di lui: ricordava le nocche che sbiancarono stringendo la tunica mentre l'araldo leggeva la sentenza decisa dal consiglio degli anziani. Immaginava che ognuna di quelle parole fosse una pugnalata al cuore del principe che, invano, aveva provato a opporsi alla sentenza proposta da Hesperos.

Eppure, l'aveva fatto: lui sapeva della rivolta, ma non l'aveva detto. Quel sangue che era stato versato in piazza era stato inutile: chi davvero lo voleva morto, era ancora in vita – chissà dove, ma pronto a tornare.

Kyriakos era vivo.

Ricordava lo sguardo del giovane, quell'aria di rimprovero rivolta all'amico, ma che era bruciata ugualmente sulla pelle di Hesperos.

L'avrebbe guardato nello stesso modo, se fosse lì, e in silenzio gli avrebbe fatto segno di seguirlo.

Hesperos scosse la testa, saltando giù dal muretto e rimanendo in piedi. Non aveva mai messo in dubbio le scelte, ma ogni certezza sembrava crollargli velocemente, come la neve si sarebbe sciolta l'indomani mattina sotto il sole.

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