Ritorno

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Hesperos strinse le mani sul parapetto della nave: continuava a guardare verso la propria sinistra, ma ormai l'orizzonte aveva inghiottito il profilo di Atlantide.

Erano passate solo poche ore, eppure sentiva già la mancanza di Alexandros: non l'avrebbe certo rivisto in tempi brevi e poteva solo stringersi al ricordo della notte appena trascorsa. Strinse la mano sul medaglione che portava al collo, il suo regalo per avere un viaggio sicuro. Gli aveva promesso che avrebbe pregato affinché non succedesse niente alla nave che si era staccata dal porto di Atlantide a metà mattina. Poteva immaginarselo inginocchiato sul pavimento di marmo a mormorare preghiere.

Allontanò lentamente le dita dalla superficie dorata e sospirò, piegando i gomiti e appoggiandosi sul legno: intorno alla nave il mare era diventato blu scuro, perdendo le tante sfumature che aveva in prossimità dell'isola.

Lui non era abituato al mare, non sarebbe mai stato un marinaio. Non aveva la salsedine nel sangue. Avrebbe avuto bisogno di ogni preghiera che Alexandros poteva rivolgere agli Dèi per sopravvivere a quel viaggio che già gli appariva interminabile: all'orizzonte sia a poppa che a prua, si estendeva il mare. Non era altro che una vastità blu scura, interrotta di tanto in tanto da punte di bianco, creste di onde che spezzavano quella che sarebbe stata una interminabile monotonia.

Si sedette con la schiena contro il parapetto. Piegò una gamba, distendendo l'altra, infine alzò una mano, riparandosi il più possibile contro la luce del sole cocente che si imponeva sulla nave e sui marinai.

I termini dell'accordo erano ancora da definire: aveva sperato fino all'ultimo che Alexandros non coinvolgesse anche Alannis e Agata, ma avrebbe dovuto immaginare come sarebbe finita. Lui non era abituato a decidere per conto proprio, doveva sempre chiedere consiglio.

Scosse la testa, appoggiando la mano sul rotolo che Kyriakos gli aveva consegnato poco prima della partenza, senza farsi vedere da Alannis.

"Potrebbe aiutarti a passare il viaggio" gli aveva detto. Non aveva spiegato altro, si era limitato a rivolgergli un sorriso e tornare dagli altri.

Probabilmente era una tragedia. L'aveva sentito discutere diverse volte con Esi riguardo al teatro, ma forse non aveva mai capito che a lui, Hesperos, non sarebbe mai interessato: esser stati gemelli non aveva mai significato condividere gli stessi interessi.

Tamburellò sul pavimento, reclinando appena la testa all'indietro, crogiolandosi al sole.

Non ebbe idea di quanto tempo fosse rimasto immobile: aprì gli occhi quando un'ombra oscurò la luce, togliendo il riflesso che riusciva a vedere anche con gli occhi chiusi.

«Stiamo per attraccare per trascorrere la notte, preferisci rimanere a bordo o cercare una locanda?» gli chiese il capitano mettendosi le mani sui fianchi.

Hesperos socchiuse gli occhi, scrutando la figura bassa e tarchiata dell'uomo mentre si accarezzava la barba, in attesa di una sua risposta.

«Posso aspettare qui».

«Ottimo» rispose quello prima di voltargli le spalle e dirigersi verso i membri dell'equipaggio, urlando qualche ordine nel dialetto di Atlantide che Hesperos non intese. Per quanto tempo avesse passato sull'isola, continuava a non capire certe espressioni.

Tornò a fissare il cielo, distese entrambe le gambe e incrociò le mani sul ventre. Non ci aveva fatto caso, ma il colore del cielo era cambiato e il sole non si trovava più sulla sua testa: il primo mostrava diverse sfumature di azzurro e all'orizzonte sembrava in fiamme, tinto di giallo e arancione nel punto in cui il giorno andava a finire.

Forse si era addormentato. Distese le braccia verso l'alto, rimettendosi poi in piedi. Raccolse il rotolo, inserendolo nella cintura: avrebbe trovato qualcuno a cui regalarlo, nel caso.

Sea of fateWhere stories live. Discover now