Sosta

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«Semosia si intravede già» urlò Eth ai marinai, cercando di sovrastare il rumore prodotto dalle onde che si infrangevano contro lo scafo ricoperto di catrame della nave. Strinse le mani sul timone, serrando le labbra mentre le corde stridevano, tendendosi sotto la forza del vento che gonfiava le vele, spingendo la nave verso le coste di Mu. 

«Quindi ci arriveremo prima che cali la notte» disse Niketas, avvicinandosi a  Eth e fermandosi vicino a lui. Incrociò le braccia, volgendo lo sguardo verso il sole e alzando un braccio per proteggersi dal sole. 

«Sicuramente, il vento ci è favorevole, seppur forte».

Niketas annuì, voltandosi verso Alannis e Kyriakos, seduti vicino all'albero della nave, impegnati a occuparsi di Kylos, incuriosito da ogni cosa si trovasse a bordo. Anche una gomena arrotolata riusciva a catturare l'attenzione del bambino. 

«Dovresti scendere tu a Semosia. Ho paura che qualcuno possa riconoscere me, Alannis o Kyriakos».

«Cercherò di ottenere quante più possibili informazioni. L'espansione di Mu preoccupa anche Atene, soprattutto ora che i due gemelli si spartiscono i troni di Atlantide e Mu».

«Credevo che Atene si volesse tenere fuori».

«Lo vuole, infatti» rispose Eth abbozzando un sorriso. «E l'ho capito io che di Atene conosco solo le voci».

«Credevo che Posamis avesse legami stretti con Atene».

«Sì, ma io, di nascita, sono fenice. Sono stato adottato dalla famiglia di Alexios quando avevo circa dieci anni. Mio padre morì lì, a Posamis, e loro mi offrirono una casa. Siamo cresciuti come fratelli io e quel cretino, ma non siamo nient'altro che pescatori dopo tutto. Alcuni dei miei uomini sono fenici e, come loro, io non mi sono mai interessato dei greci. Credevo anche che Atlantide fosse una leggenda e ritrovarmi ad aiutare voi - scosse la testa - è così... così strano. Non credo di poter trovare parole adatte a descrivere il mio stato d'animo. In ogni caso, lasciare profughi in difficoltà va contro ogni mio principio».

«Peccato che non siamo profughi» rispose Niketas sedendosi. «Ma esiliati».

«Il destino non fa distinzioni tra profughi ed esiliati e il mare non si può affrontare in tre. Avete la benedizione del vostro dio, ma... spesso non basta».

«Lo so. Ho imparato sulla mia pelle che a volte gli uomini hanno più pietà degli Dèi». Abbassò lo sguardo, restando in silenzio per qualche istante. «O più crudeltà».

«Parli di Ktesias, non è vero? Sebbene fosse un nemico, era apprezzato anche ad Atene. La sua morte ha sconvolto città lontane da Atlantide, è crollato in attimo tutta la pace che era riuscito a costruire».

Niketas annuì, lasciando cadere nel vuoto la conversazione: nonostante fosse passato così tanto tempo, l'uccisione di Ktesias ancora bruciava sulla pelle. Avrebbe voluto conficcargli un pugnale nel petto, vedere la vita essere strappata dai suoi occhi nello stesso modo in cui lui l'aveva rubata al sovrano. Solo il pensiero di saperlo ubriaco su un trono che non gli apparteneva, faceva ribollire il sangue nelle vene a Niketas che sentiva la rabbia crescere ogni volta che il nome veniva pronunciato. 

Era solo questione di tempo prima che il corpo di Hesperos sarebbe caduto a terra, esanime.

«Siamo quasi al porto» disse Eth in greco dopo aver urlato qualcosa ai marinai nella lingua madre che era suonato come un insieme indistinto di suoni alle orecchie di Niketas. «Andate sotto coperta, restate nascosti il più possibile. E cercate di zittire il bambino, non voglio rischiare che la copertura salti per colpa di chi non capisce ancora niente di come va il mondo».

Sea of fateWhere stories live. Discover now