Patti

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La notte senza luna aveva fatto sì che l'intera città cadesse di nuovo nel silenzio totale: da tempo ormai, sembrava che l'oscurità avesse abbracciato Atlantide, infilandosi in ogni angolo, macchiando la quotidianità dell'isola. Era come se il sole non splendeva più su quelle coste, come se anche gli Dèi avessero deciso di abbandonare quelle coste.

Tre lune.

Erano passate tre lune da quando Hesperos aveva preso il potere.

Ma il conteggio dei corpi a lato delle strade, cadaveri lasciati senza rimorsi ai cani e agli uccelli, anime costrette a vagare senza poter trovare riposo nell'Ade, non era più tenuto. Le condanne sommarie potevano accadere in ogni minuto e nessuno era al sicuro. Ogni alba faceva sì che altro sangue scorresse per le strade di Atlantide, che altri marmi venissero macchiati di rosso e altri lamenti funebri si alzassero al cielo.

E da tre lune, Kyriakos fissava il soffitto della casa tutte le notti, rimuginando su quel favore che Esi gli aveva chiesto sulla spiaggia, mentre ancora il vento sembrava portare i clamori della battaglia: togliere di mezzo Hesperos.

Ma se prima la corte gli brillava davanti agli occhi ogni giorno, in quei tempi di crisi gli appariva distante, quasi irraggiungibile.

Ingaggiare un assassino era troppo rischioso: sapeva che Hesperos lo teneva sott'occhio, visto che il nome era troppo legato alla famiglia reale e, soprattutto, il legame con Alannis che aveva portato alla distruzione della pace.

Avrebbe potuto macchiarsi le mani, riassaporare il sapore del sangue e uccidere il sovrano di persona. Ma lui non si separava mai dalle guardie. Non sapeva dire a chi mancasse il coraggio: se a lui che non voleva esporsi o a Hesperos che si guardava continuamente le spalle.

Kyriakos alzo un braccio al soffitto, distinguendo a malapena i contorni della mano. Sospirò, abbassandolo sul petto e rigirandosi poi un fianco, con la coperta di lana spessa che si attorcigliava intorno alle gambe, facendogli il solletico.

Sapeva che Agata aveva tentato di avvelenare Hesperos, ma il suo tentativo era stato scoperto e il sovrano l'aveva relegata nella casa di campagna di Ktesias con le sue ancelle più fidate e la faceva sorvegliare dai suoi uomini più fidati.

«Dèi, che situazione» mormorò Kyriakos sistemandosi a pancia in giù e scalciando via la coperta mentre nascondeva la faccia nel cuscino.

Tra Hesperos re di Atlantide e una possibile gravidanza di Alannis di cui probabilmente era lui il responsabile, di motivi per andare a pregare al tempio ne aveva a sufficienza.

L'avrebbe fatto l'indomani mattina, deciso a chiedere sia protezione per Alannis, sia tranquillità per l'anima di Ktesias.

Aveva lasciato un vuoto, il sovrano. E niente l'avrebbe colmato. L'intera isola sembrava essersi spaccata alla sua morte, non solo la sua famiglia.

Kleitos per la sua famiglia aveva ottenuto la libertà in cambio di fornire il vino migliore al sovrano: uno scambio che Eirene aveva considerato una pazzia e Kleitos l'aveva vista come un'opportunità per ingraziarsi il sovrano e fargli chiudere un occhio sul fatto che egli fosse stato amico e generale di Ktesias.

Sentiva i genitori discutere quasi ogni sera e con il cuore che si stringeva a ogni urlo, Kyriakos non riusciva a non ritenersi responsabile.

Nessuno di loro era riuscito ad avere notizie di Alexandros: giravano voci, come sempre, e l'unica cosa certa sembrava il fatto che, da giorni, Hesperos lo teneva sempre con sé come schiavo.

Nessuno di loro era riuscito ad avere notizie di Alexandros: giravano voci, come sempre, e l'unica cosa certa sembrava il fatto che, da giorni, Hesperos lo teneva sempre con sé come schiavo

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