Sconfitta

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I fuochi della battaglia bruciavano ancora sulla piana di Alis nonostante lo scontro si fosse concluso da ore: alle ultime luci del giorno – a cui si univano quelle delle torce tenute in mano da alcuni dei soldati – l'attenzione era focalizzata sugli ultimi feriti non ancora soccorsi.

Da diversi punti si alzavano gemiti e lamenti, spesso coperti dai versi e richiami degli uccelli che erano tornati ad appollaiarsi sugli alberi intorno alla piana una volta che la battaglia era volta al termine.

Appoggiato a uno dei tronchi, Esi inclinò la testa verso sinistra, mentre uno dei soldati di Kleitos che l'avevano accerchiato spingeva in avanti la lancia.

«Ricorda gli ordini di Kyriakos» lo ammonì uno degli altri. «Deve restare vivo».

«Sarebbe stato un piacere togliere di mezzo un bastardo come lui» rispose il soldato, allontanando la lancia e appoggiando l'estremità opposta alla punta sul terreno. «Ma non sono sordo».

«Se credete di farmi paura vi sbagliate di grosso» sbottò Esi prima di sputare vicino ai piedi di uno dei soldati.

«Forse imploreresti di più se la tua vita dipendesse da una delle spade dei miei uomini» ribatté il secondo che aveva parlato, chinandosi appena. «Abbiamo ordini precisi, ma sappi che non c'è una singola persona che non vorrebbe vedere il tuo corpo gettato a marcire davanti agli uccelli». Raddrizzò la schiena, facendo un segno agli altri con la testa. «Portatelo via».

«Andiamo» gli disse il soldato che gli aveva puntato la lancia alla gola, afferrandogli un braccio per metterlo in piedi.

Come appoggiò la gamba a terra, Esi si trattenne dall'urlare: la ferita della freccia irradiava un dolore che attanagliava tutta la coscia.

Sentì i soldati ridacchiare, poi il gruppo si separò e due di loro lo scortarono fino a uno spiazzo, al cui centro ardeva un piccolo focolare: notò alcuni dei suoi soldati seduti vicino alle fiamme, con le mani tese in avanti per riscaldarsi.

Prigionieri, come lui.

Chi non era morto, era stato catturato: in lontananza, sul mare, riusciva a distinguere chiaramente i bagliori degli ultimi fuochi di ciò che rimaneva delle navi: era stata la prima cosa a cui l'esercito di Atlantide aveva puntato, facendo piovere sulle stesse frecce incendiarie, togliendo così l'unica via di fuga a chi proveniva da Mu.

Scosse la testa, sedendosi a terra. Il clangore delle catene di coloro che si agitavano nel sonno, prede di incubi e dolore, lo tormentavano da ogni parte.

Aveva preferito sedersi lontano da tutti il più possibile, evitando di proposito i commenti e lo sprezzo di coloro che aveva costretto ad affrontare il mare e trascinato in una nuova battaglia, conclusasi all'opposto delle aspettative e delle promesse. Pochi sarebbero tornati sani e salvi in patria, molti non avrebbero rivisto le famiglie e tutti non avrebbero ottenuto le ricchezze che erano state garantite dal sovrano.

Avrebbero vinto solo il sangue e i corpi dei compagni.

Il crepitio del fuoco rompeva il silenzio della notte: nessuno aveva voglia di parlare e solo da lontano arrivavano le grida dei soldati di Atlantide ormai ubriachi, consapevoli di essersi assicurati la vittoria.

Alzò lo sguardo quando sentì uno sputo arrivargli sulla guancia: uno dei suoi soldati si era avvicinato e lo stava osservando con le braccia incrociate e la fronte aggrottata.

«È tutta colpa tua, maestà» gli disse, calcando lo sprezzo sull'ultima parola. Esi tornò a guardare il fuoco, ma subito abbassò lo sguardo. Era sicuro che tutti si erano voltati in quella direzione. Quello sarebbe stato il primo dei tanti scherni che i soldati volevano gettargli addosso.

Sea of fateWhere stories live. Discover now