capitolo 34

406 18 22
                                    

Ho sempre odiato stare lontano dalle persone alle quali mi sono affezionata e che con il tempo sono diventate parte integrante della mia vita. Quando ero partita a New York per studiare giurisprudenza, odiavo l'idea di stare lontano dalla mia famiglia. Me lo ricordo ancora, primo anno di università e io ero attentissima a prendere ogni appunto. Mi ero fatta degli amici e ai ragazzi non mi interessavo molto, preferivo lo studio, ma nonostante ciò io all'università ci ero andata. Poi, quando ero al liceo in gita, una chiamata improvvisa da casa, fecero il mio nome con i volti scuri e la testa bassa. Tremante presi il telefono tra le mani e risposi: <<Pronto?>>
<<Devi venire a casa. La mamma è morta.>>
Sentii di non avere abbastanza aria nei polmoni, fui sul punto di svenire, ma presi un respiro forzato e con le lacrime agli occhi iniziai a prendere la mia valigia. Le persone, i miei compagni mi chiesero cosa avessi, ma non riuscivo a parlare.
Quando andai nella mia stanza, notai sul mio comodino la foto che ritraeva la mia famiglia e feci un sorriso.
Non ci credevo, forse nel mio profondo lo sapevo che sarebbe successo, ma non volevo crederci, faticavo a farlo.
Ricordo che tornai a casa nel giro di nemmeno un giorno, ma non venni accolta con le braccia aperte.
Appena Maggie e Beth mi videro, lanciarono le proprie braccia attorno al mio corpo e le sentii singhiozzare nell'incavo del mio collo e nei miei capelli.
Non mi diedero nemmeno il tempo di poggiare a terra le valigie che mi strinsero come mai prima d'ora. Ci staccammo dall'abbraccio sofferente, e chiesi:《Chris?
Maggie scosse la testa dicendo che non sa se sarebbe venuto e io alzai un sopracciglio delusa. Poi, con voce debole, parlai dinuovo:《Lei?
Entrammo dentro casa e mi sentii strana a  vedere gli utensili di cucina messi ognuno al proprio posto. Quando tornavo, avrei voluto vedere nostra madre mentre cucinava con fretta per paura che io arrivassi prima del previsto. Ma prendersi cura di una grande fattoria, era difficile pensare ad avere tempo per fare altre cose.
Entrai nella camera in cui dormiva e mi avvicinai lentamente al letto per vederla più da vicino.
Era pallida, incolore. Il calore che trasmetteva non lo sentivo più e le accarezzai lentamente il viso liscio. Pelle fredda, e nessuna reazione.
Le misi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e strinsi una sua mano, nessuna reazione.
Mamma.》Sussurrai, ma non mi rispose.
La vista mi si offuscò lentamente per colpa della lacrime che minacciavano di scivolare sulle mie guance.
Nei prossimi tre mesi sono stata a darmi colpe sul fatto che non avevo mai preso per davvero in considerazione che mia mamma potesse morire. Non lo avevo fatto, e questo mi aveva fatto sbattere con il culo per terra. Nelle nostre telefonate non c'erano dei: "Ti voglio bene, mamma." oppure un: "Non vedo l'ora di rivederti." Avrei voluto salutarla bene, almeno l'ultima volta. La mattina del giorno prima che morisse mi aveva chiamata, ma non le avevo risposto. Mi ero promessa che l'avrei richiamata, ma non me ne ricordai. Sapevo che sarebbe morta, i segni della morte le colorarono di bianco le guance pallide; io ero andata lo stesso in quella fottuta gita.
Sono sul l'autobus che aveva sistemato Abraham, sono nei posti dietro seduta vicina a Eugene. Le sue mani tremano e si morde il labbro continuamente.
<<Hai l'impressione di uno che ha fatto qualcosa.>> dissi rilassando la testa e la schiena sul sedile.
<<C-chi io?>> feci una smorfia interrogativa non capendo perché non avesse compreso la mia battuta, e lui fece una leggera e nervosa risata.
Rosita accarezzava dolcemente i capelli di Abraham, poi quando mi girai verso Maggie per parlarle, successe tutto al rallentatore. Il mezzo si capota facendo più giri su se stesso e facendomi sbattere in ogni punto libero. Finalmente si fermò. Vedevo che usciva del fumo ed ero consapevole che da lì a poco sarebbe esploso tutto. Avevo battuto fortissimo la testa e sentivo che tutto girava attorno a me; le voci sembravano sfocate, così lontane da non percepirle.
Mi toccai la tempia destra e quando mi guardai le dita, notai del sangue.
<<Cazzo.>>
Mi preoccupai di far uscire tutti gli altri; uno per volta venne tirato fuori è scampato alla morte. Rimaneva soltanto Glenn che si era incastrato in una sedia, e con un coltellino iniziai a tagliare il tessuto sperando di liberarlo.
<<Arrivano!>> Mi girai di scatto notando una piccola mandria di vaganti, e mollai l'ennesima imprecazione:<<Merda.>>
Nessuno di noi aveva proiettili ed erano troppi da abbattere. Mi guardai attorno nella speranza di trovare qualcosa di intelligente da fare, e mi ricordai della benzina che si era sparsa in poco tempo da per tutto. Mi morsi il labbro, e mandai giù un grosso e doloroso nodo di saliva. Finalmente avevo liberato Glenn, in quale appena uscì mi tese una mano per farmi scendere, ma avevo altri piani. Gli dissi che dovevo cercare la mia Katana. I vaganti erano quasi arrivati e gli altri non sapevamo come combatterli. Con il manico della spada iniziai a battere sui vetri spaccandoli e poi a urlare:<<Forza! Venite dalla mamma!>> In risposta ricevetti dei lamenti e versi agghiaccianti.
<<Grace che diamine hai in mente?!>>
<<Fidatevi di me!>>
Vidi salire sull'autobus morto dopo morto, e si avvicinavano sempre di più a me. Guardai il soffitto e trovai il manico che apriva una finestra, misi le braccia all'esterno e con forza mi tirai su. Con la bocca mimai agli altri di allontanarsi, e finalmente scesi anche io. Dalla tasca posteriore dei jeans estrassi un pacchetto di fiammiferi. Ne accesi uno, e poi lo lanciai verso la macchina. Le fiamme l'avvolsero in pochi instanti e le grida disperate dei morti si sentivano a metri di distanza. <<Vi concedo di trovare la pace.>>
<<Perché?>> Chiese Glenn non capendo perché lo avessi fatto, io scrollai soltanto leggermente le spalle come se non ci fosse un motivo. Ma un motivo c'era: le fiamme ne avrebbero attirati altri e noi ci saremmo potuti allontanare senza alcun tipo di problema. Il fumo avrebbe attirato l'attenzione di sopravvissuti indesiderati e fin troppo curiosi.

*******

Eravamo a piedi, e ci eravamo seduti ai lati della strada sull'erba a prendere una piccola pausa. Ero esausta e sentivo le gambe sempre più pesanti. Abraham masticando ancora la carne secca che avevo diviso con tutti, si alzò. Si pulì i pantaloni dall'erba e sassolini, e con la bocca piena disse frettoloso:<<Dobbiamo andare.>>
Maggie scambiò uno sguardo stanco con Glenn, per poi guardare anche me. Rosita si teneva a un palo per il dolore alla caviglia, e Eugene camminava da una parte all'altra come un leone dal manto dorato rinchiuso in una gabbia fin troppo stretta.
<<Ci siamo appena seduti.>> Replicò la fidanzata e roteò gli occhi marroni.
<<Abbiamo una missione, dobbiamo compierla.>> 
Io ero zitta, completamente per i fatti miei a pulire dal sangue la mia Katana, ma non trattenni alla risposta del rosso. <<Hai una missione.>> lo corressi ricordandogli che io non centravo niente con tutto ciò.
<<Sei con me, la mia missione diventa anche la tua.>> Assottigliai lo sguardo, ma non dissi nulla.
<<Andiamo.>> ci incitò finendo l'ultimo pezzo di carne.  <<Abraham, siamo stanchi.>> Risposi alzandomi in piedi e incrociando le braccia al petto.
<<Dobbiamo andare, smettetela di lamentarvi!>>
<<Non sei il mio capo.>>
<<Se avessimo avuto un mezzo saremmo riusciti ad arrivare e non staremo camminando. E se tu non avessi avuto la fantastica idea di far esplodere tutto, forse non avremmo sprecato del prezioso tempo!>>
Sentivo il sangue bollirmi nelle vene, serrai la mascella e chiusi i pugni.
<<Non alzarmi la voce. E non darmi la colpa.>>
<<Dobbiamo portare questo uomo  nella capitale! E se qualcuno si mette sulla mia strada è morto.>>
La goccia che fece traboccare il vaso. In pochi secondi la mia spada era puntata sulla gola di Abraham e stringendo i denti assieme alla presa dissi:<<Ti ho detto di non alzarmi la voce. Non m'importa di cosa potrebbe accadere inseguito, fai una mossa...una sola mossa, e il morto sei tu.>>
Ciò che mi distrasse fu l'improvviso pianto isterico di Eugene, mi girai a guardarlo e lui tra i lacrimoni balbettò:<<B-basta per f-favore. Bas-sta.>>
<<Non ti intromettere.>>
<<È tutta colpa m-mia! Ho malmes-so l'autobus per riuscire a r-rallentarvi, ma non ci sono riuscito.>>
Lasciai andare con uno spintone l'omone e mi diressi verso Eugene.
<<Tu cosa?>> Indietreggiò, e Glenn si mise subito di fronte a me per non farmi fare niente di azzardato.
<<Dopo tutt-... Perché?>> chiese Abraham mentre si avvicinava minacciosamente e si mise in mezzo Rosita.
<<I-io non so come r-risolvere l'apocalisse..>>
Eugene stava per prendere un grosso pugno dal rosso, ma la fidanzata lo bloccò in tempo.
<<Spiegati.>>
<<Io quando ho i-incontrato Abraham e gli ho d-detto quella cosa, era s-solo per avere la s-sua protezione..>>
Quest'ultimo spostò Rosita e sferrò un pugno sulle guance macchiate di lacrime di Eugene. Un pugno, un altro, un altro, è un altro ancora. Non c'era modo di farlo smettere, e nemmeno uno di farlo pensare che fosse sbagliato.
Tara fu la prima ad intromettersi insieme a Glenn, e Rosita era riuscita finalmente a staccarlo.
Eugene si era accasciato per terra e gli altri provavano a curargli le ferite.
Abraham aveva fatto dei passi verso la strada, si era allontanato leggermente da noi e dalle nostre voci. Cadde sbattendo le ginocchia sull'asfalto, fece un sospiro e con le lacrime agli occhi guardò il cielo.
Scommetto che in quel momento ciò che più lo divorava, era un accumulo di dolore, di sofferenza e di ricordi. Ricordi che lo rendevano fragile al mondo che lo circonda.

Spazio autrice:
Ciao personcine belle. Come state? Scusatemi per l'assenza, ma avevo una miriade di cose da fare. Sono stata davvero tanto assente e spero che non mi odiate. Ho trovato ora il tempo di pubblicare e sinceramente non so quando riuscirò di nuovo; non odiatemi. Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì! Lasciate una stellina o un commento per farmi continuare e alla prossima! Buon proseguimento!❤️

With you is Impossible - Daryl Dixon Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin