Capitolo 2 ♠ Favour

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Mi svegliai di soprassalto, notando che avevo passato la notte sul divano. Mi alzai e preparai il caffé, lasciandomi investire dai ricordi della sera precedente.

Aaron aveva voluto sfidarmi e ne aveva subito le conseguenze. Era uno dei pochi che, nonostante sapesse chi ero e cosa ero, non aveva preso le distanze e ne aveva pagato le conseguenze.

Dovevo trovare qualcosa da fare, tenere la mente occupata per non essere invasa dai pensieri distruttivi che minacciavano di invadermi. Sarei andata nella mia palestra, nella quale spesso mi allenavo. 

Mi diressi alla libreria, spostai in sequenza il terzo libro della sezione F, il primo della C e il dodicesimo della N. Il rumore dello scatto di una serratura echeggió nel salotto, tirai l'estremità sinistra del mobile e quest'ultimo si aprì come una porta.

Dietro vi era un lungo corridoio in pietra illuminato da dei bellissimi lampadari vintage. Entrai e la libreria si richiuse alle mie spalle, quando raggiunsi la fine vidi la solita fessura nella quale andava inserito il pugnale al quale tenevo di più, quello di mio padre. Lo estrassi da una nicchia del muro nascosta nell'ombra e lo inserii nel muro. Dalla parete fuoriuscì un po' di polvere e subito dopo si spostò verso destra, lasciando uno spazio sufficiente a far passare due persone.

Lo attraversai e mi ritrovai nella mia modernissima palestra.

A sinistra c'erano le assi di metallo per l'equilibrio, avevano diverse dimensioni, la più grande era quella di 20 cm, mentre la più piccola misurava 4,5 cm.

Camminai verso le mie tute da allenamento e presi una canottiera nera rigida e dei leggings dello stesso colore, successivamente indossai degli anfibi.

Una volta pronta, andai verso l'espositore dei coltelli e ne presi tre. Mi posizionai di fronte al bersaglio ad una distanza di una decina di metri. Presi il primo, braccio indietro, gamba destra avanti, e lanciai.

Centro. Poi il secondo. Centro.

Il terzo lo tirai correndo di lato, parallelamente al bersaglio. Centro.

Li recuperai dal bersaglio e li riposi. Poi afferrai dei guanti che lasciavano le ultime due falangi delle dita esposte, presi un sacco da boxe, lo appesi al gancio del soffitto ed iniziai a colpirlo con calci e pugni.

Una mezz'oretta dopo mi stufai e, anche se non ero minimamente stanca o sudata, tornai nel mio appartamento con l'intenzione di farmi un bagno rilassante, riempii la vasca, poi mi spogliai ed entrai.

Dieci minuti dopo ero già fuori e mi dirigevo verso la mia stanza in cerca di vestiti nell'armadio. Presi una maglietta bordeaux le cui maniche a tre quarti erano traforate ai lati esterni. Poi indossai un paio di jeans neri e delle Adidas del medesimo colore.

Guardai fuori dalla finestra e notai che aveva smesso di piovere, anche se comunque il cielo era ancora grigio.

Ad un certo punto il suono del campanello rimbalzò sulle pareti del salotto raggiungendo anche la mia camera da letto.

Chi può essere? Qui nessuno mi conosce.

Andai alla porta e sbirciai nello spioncino. C'era un uomo di una quarantina d'anni, i capelli di un castano scuro erano tenuti a spazzola, indossava una camicia nera abbottonata completamente.

«Lo so che ci sei, Alexys.» Disse guardando la porta. «Aprimi, è importante.»

Abbassai la maniglia ed aprii la porta.

«Chi sei?» Chiesi sospettosa.

«Un vecchio amico di famiglia. Non ti ricordi di me?»

«Se te l'ho chiesto, evidentemente no.» Mi appoggiai con la spalla destra allo stipite della porta d'ingresso e lo osservai come un falco fa con la propria preda.

«Sono Max, conobbi tuo padre ai tempi del college.»

«E perché saresti qui?» Chiesi.

«Ho bisogno di favore...» Gli sbattei la porta in faccia.

«... che potrebbe tornare utile anche a te.» Continuò, la voce camuffata attraverso il legno della porta.

La riaprii. «Parla.»

«Ho scoperto dove risiede il clan dei vampiri che hanno ucciso i tuoi genitori.» Dichiarò.
«Per quale motivo dovrei crederti?»
«Non ho ragioni per mentire, capisco che non ti fidi di me: non mi conosci, è naturale. Ma ho veramente bisogno del tuo aiuto. Progettano di eliminare la maggior parte dei branchi di lupi mannari americani, e non si faranno scrupoli a chiedere l'aiuto delle streghe! Dentro alla loro lunga lista c'è anche il mio nome.» Quindi anche lui era un licantropo.

«E perché chiedere al predatore di proteggere la preda?»

Sospirò.«Perché sei la più abile e la più temuta e, ripeto, potresti ricavarne vendetta. Non vuoi sfogare la tua rabbia repressa?» Ci pensai un po'. Avrei ottenuto il mio riscatto e finalmente i vampiri ci avrebbero lasciato le penne.

«Non la definirei repressa, l'ho esternata molto bene ogni giorno della mia vita e di sicuro non mi fermerò tanto presto.»
«Sì, lo so. Ma non sei stufa di tutta questa situazione?»
«Se lo fossi, a quest'ora avrei già smesso, non pensi anche tu? Comunque, dove si trova questo clan?»

«Nel Québec, in Canada.» Disse con un sorriso speranzoso.
Sospirai «Non farmi pentire della mia decisione.» 

HunterOnde as histórias ganham vida. Descobre agora