Capitolo 17 ♠️ Just Try

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Mi rialzai, sfiorandomi la gola con le dita. Il dolore si stava affievolendo.

Cole tremava, ma ma non distolse lo sguardo dal mio.

«Uccidermi?»

Non risposi, mi limitai ad avanzare verso la botte dietro la quale si era nascosto, sorpassandola. Non ero più intenzionata a proteggerlo dai vampiri. Era un codardo che mi aveva lasciata a morire. Camminai verso un'altra parte del corridoio, senza voltarmi indietro.

«Ehi, aspettami!» Esclamò lui, precipitandosi verso di me.

«Per quanto mi riguarda, puoi anche crepare li dove sei.»

«Non dici sul serio.»

Mi voltai di scatto verso di lui. «Dimmi la verità, quante probabilità credevi che avrei avuto da sola con quello? Non sapevi che ero in grado di fare quello che ho fatto, non lo sapevo nemmeno io.» Non rispose, aveva smesso persino di guardarmi negli occhi.

«Come pensavo.»

Ricominciai a camminare, guardando all'interno di ogni cella. Percepivo Cole dietro di me seguirmi in silenzio, spaventato da ciò che avrei potuto fare se avesse aperto bocca.

Ormai ci avevo fatto l'abitudine: essere trattata come una bomba a orologeria, pronta a esplodere in qualunque momento.

Era inutile cercare di convincere gli altri che fossi qualcosa di diverso, ci avevo provato più volte da piccola, quando avevo poco più di dodici anni.

Nel paesino in cui vivevo allora, le persone non erano molto propense a interagire con me. Ero vista come qualcosa da cui stare alla larga. Non era nella norma una ragazzina con la rabbia del mondo imprigionata dentro di sé. Era troppa, da qualche parte doveva pur uscire.

A quel tempo, la morte dei miei genitori era una ferita ancora aperta e sanguinante. Avevo cosi tanti incubi durante la notte che di giorno faticavo a distinguere tra sogno e realtà.

Per un po' di tempo, si erano occupati i miei vicini di me, fino a quando non scoprirono delle mie abilità. Dopo ciò, chiamarono un assistente sociale. Dissero che era "per darmi una nuova casa, una nuova famiglia", che vedere il luogo dov'era successo non mi avrebbe mai permesso di voltare pagina.

Perché voltare pagina? Perché costringermi a dimenticare l'unica parte felice della mia vita, mi chiedevo allora.

Ora lo sapevo: quei ricordi erano ormai corrotti dal trauma che avevo vissuto. Era per me impossibile pensare ai miei genitori senza rivederli in un bagno di sangue nel nostro salotto.

Potevo avere uno spunto da cui ricominciare a vivere, ma per me avere dei nuovi genitori sembrava quasi un insulto alla memoria di quelli che con tanto amore mi avevano cresciuta fin dalla nascita. Come se loro per me non avessero contato nulla.

Un giocattolo che, una volta rotto, veniva semplicemente rimpiazzato con un altro nuovo e più bello.

Non gli avrei mai fatto questo.

Ero testarda e decisa come adesso. Quando l'assistente sociale era arrivato, fui costretta a seguirla contro la mia volontà. Quella donna non faceva altro che parlarmi in tono accondiscendente.

«Un giorno mi ringrazierai.» Ripeteva.

Non lo avevo mai fatto.

Un rumore riportò la mia mente al presente, a quella che ormai era la mia realtà.

Prigione. Pietra. Vampiri.

Cole aveva urtato qualche sasso, provocando un'eco assordante.

Mi girai a lanciargli un'occhiataccia, alla quale rispose con un «scusa.»

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