Capitolo 11 ♠️ Never Let Your Guard Down

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Ray era incosciente da tre giorni ormai, e le sue condizioni non accennavano a migliorare. Dopo il pugno ricevuto sul muso, il lupo non era più tornato alla sua forma umana.

Il medico del branco gli aveva subito diagnosticato un trauma cranico a dir poco gravissimo. Continuava a brontolare qualcosa come "È un miracolo che sia vivo" Eccetera eccetera...

Inutile dire che avevo subito non una, non due, ma ben tre ramanzine da parte di Christopher.

Ero seduta alla tavola da pranzo, stavo aspettando un quarto d'ora lì ferma, senza vedere anima viva. Poi mi stufai e mi alzai bruscamente, diretta in cucina.

Vi trovai una donna sulla cinquantina, con i capelli corti di un biondo cenere, era bassina e un po' in carne.

«Mi scusi, è rimasto qualcosa da mangiare?» Le chiesi, riscuotendola dai suoi pensieri. Si girò verso di me e assunse un'espressione corrucciata.

«Sì, i ragazzi non hanno spazzolato tutta la pentola.» Rispose seccata, senza degnarmi di un'altra occhiata.

«Ah, grazie per l'informazione.» Mi avvicinai alla signora, con l'intento di mettere del cibo nel mio piatto vuoto. Lei saltò sull'attenti ed emise un ringhio.

«Whoa! Stia calma, voglio solo pranzare!- Esclamai, facendo un salto indietro.

D'un tratto si fece da parte e abbassò lo sguardo.

«Chiedo scusa se ho dato motivo di dubitare delle mie intenzioni, so che ci vorrà del tempo prima che ci sia fiducia tra me e voi.» A volte mostrare empatia era l'unica soluzione.

Lei annuì e forzó un sorriso.

Beh, meglio di niente.

Mi avvicinai alla pentola e con un grosso cucchiaio raccolsi il cibo rimastovi.

«Lì dentro c'è anche del pane, se ne vuoi.» Disse la signora, con un lieve, ma sincero sorriso.

-Grazie, ma credo che per questa volta passerò.» Risposi il più gentilmente possibile, sedendomi ad un tavolino più piccolo di quello presente nella sala da pranzo.

Quando cominciai a mangiare, mi resi conto di non aver ancora toccato del cibo che non fosse in scatola o preso da qualche Fast Food da quando ero arrivata in Canada. Ne fui felice, e quando terminai non rimase altro che il piatto completamente pulito. Lo sistemai nel lavandino insieme agli altri e mi recai in cortile, scoprendolo vuoto.

Lo esplorai a fondo, partendo dal gazebo, e notai che vi era una panchina in legno e ferro battuto. Mi sedetti su di essa e inspirai una grande boccata d'aria, guardandomi intorno.

Il sole illuminava l'erba verdissima e i ciottoli bianchi che formavano dei sentieri su di essa.

Tutto era calmo, più del solito in effetti, e avevo imparato tempo addietro che l'apparenza inganna.

Mai abbassare la guardia.

L'avevo imparato a mie spese.

Senza pensarci due volte, corsi in camera mia, incurante della gente che si trovava all'interno della casa. Afferrai in fretta e furia le mie armi, mettendomi in spalla l'arco e le sue frecce, poi indossai la maschera..

Mentre percorrevo il solito corridoio, incontrai Christopher.

«Dove vai?» Mi chiese scontroso, trattenendomi per un braccio.

Mi abbassai la maschera per rispondere. «A fare un giro di pattuglia, sono qui per questo.» Allentò la presa, fissandomi insistentemente negli occhi e mantenendo il volto inespressivo.

«Ci sono già i miei uomini.»

«Oh bene, allora posso anche andarmene: io qui non servo.» Ribattei sarcasticamente.

«È esattamente quello che ho detto e ripetuto al tuo amico Max.» La sua affermazione fece più male di quanto mi aspettassi, non mi riteneva utile. Io, la famigerata Alexys, inutile.

«Non è mio amico, e comunque devo andare lo stesso.» Mascherai la ferita all'orgoglio con un tono ancora più duro.

Camminando all'indietro, iniziai ad allontanarmi in modo da tenere il mio sguardo ancorato al suo.

«Mi spiegheresti il motivo?»

«Ho bisogno di un vampiro.» Allargai le braccia, alzando la voce per farmi sentire.

Mi voltai e corsi fuori, pronta a combattere.

***

Mi aggiravo per il bosco da qualche ora ormai, ma ancora nessun vampiro. Saltavo sugli alberi e perlustravo il territorio, aggrappandomi ai rami più robusti e sollevandomi in piedi su di essi. La maschera che nascondeva il mio viso dagli occhi in giù teneva caldo, nonostante il tessuto traspirante, ma era fondamentale per non rivelare la mia identità a nessun nemico prima del tempo.

Saltai giù, atterrando sul terriccio morbido tipico dei boschi. Poi un fruscìo, debole come se a sfiorare il suolo fosse stata una piuma. Afferrai l'arco, incoccai una freccia e la scoccai immediatamente.

Un urlo squarciò l'aria come un pugnale riduce una tela in brandelli.

Scattai in quella direzione, correndo a più non posso nel tentativo di raggiungere la creatura, intravidi un lampo alla mia sinistra e poi nulla.

Solo tenebre.

***

Un dolore lancinante alla testa mi riportò alla realtà, aprii gli occhi e notai che ero legata al tronco di un albero, seduta per terra.

«Allora, cosa abbiamo qui?- Una voce maschile rimbombò nel mio cranio, distruggendomi i timpani, le orecchie mi fischiavano e tutto intorno a me ondeggiava indistintamente, sembravo ubriaca.

-Cosa c'è? Ti hanno tagliato la lingua? Quando faccio una domanda tu mi devi rispondere. Sono stato chiaro?» La voce ritornò.

Incredibilmente la mia risposta non tardò ad arrivare. «Trasparente come l'acqua santa che sto per farti ingoiare.» Avevo invertito qualche parola? Non mi sembrava, ma non potevo esserne sicura.

«Stupida ragazzina!» Urlò, peggiorando la condizione delle mie povere orecchie. «Te ne pentirai presto.»

«Ma tu sarai già morto.» Mi indicai con un dito. «Ucciso da me.» Biascicai, tenendo lo sguardo fisso sulle mie ginocchia. Ma perché ne vedevo quattro?

«E come potresti mai uccidermi, se sei completamente immobilizzata?» Chiese con tono canzonatorio. Nel frattempo i miei sensi si erano stabilizzati abbastanza da fare quello che stavo per fare.

«Non completamente.» Sussurrai prima di tirargli un calcio sugli stinchi e, quando fu caduto in ginocchio, una testata; lo spinsi di lato con una gamba e tirai talmente tanto le corde che mi tenevano legate le braccia dietro il tronco da spezzarle.

Saltai in piedi e, esibendo una perfetta verticale, tirai un calcio a uno dei rami sovrastanti, staccandolo completamente dall'albero. Lo afferrai e lo conficcai nello stomaco del vampiro. Lanciò un grido di dolore.

«Dicevi?»

«Strega del cazzo!»

Risi al suo insulto. «Credi che io sia una strega?» Gemette quando gli strinsi i capelli in un pugno e tirai, mentre un sorriso felino compariva sulle mie labbra. «Sono molto peggio

Lo trascinai fino alla casa del branco. Ci volle un'ora buona, e quando arrivai lo mollai in mezzo al cortile.

Trovai Christopher fuori, seduto su una panchina.

«Hai una stanza nascosta? Una cella... qualcosa del genere?» Gli chiesi dopo che ebbe distolto lo sguardo dal vampiro e riposto sul mio volto.

«Sì.»

«Bene, fai strada. Non ho tempo da perdere.».

Afferrai le braccia della mia preda e lo seguii giù, nei meandri della villa.

Pronta ad avere il mio riscatto.

HunterWhere stories live. Discover now