Capitolo 34 ~ Alliance

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Entrai nella mia stanza trafelata, chiudendo la porta a chiave dietro di me. Mi addossai ad essa, scivolando verso il basso. Sentivo il freddo legno contro la mia schiena, come un macigno che gravava sulle mie spalle. L'unica cosa che ricordavo era il dolore atroce alla testa, nient'altro. Era come se le immagini che vedevo nella mia mente fossero proiettate davanti a me, come se guardassi una cassetta rovinata e le scene fossero tutte sconnesse fra loro.
Assurdo.
Mi convinsi a non pensarci per il momento, mi sarei solo agitata ulteriormente. Mi alzai cercando di raggiungere il letto, sul quale crollai esausta. Quel trucchetto doveva aver consumato parecchie delle mie energie, ragione per cui lasciai che le mie palpebre si chiudessero.

~

«Gabriel, sei lì dentro?» Chiesi. La porta del bagno non si apriva, mi ci ero schiantata contro mentre provavo ad abbassare la maniglia, la conseguente deduzione era che ci fosse già qualcuno dentro.
Non ricevetti risposta. Iniziai a preoccuparmi. Com'era possibile che in dieci minuti fosse scomparso? E non era nemmeno nella migliore delle condizioni. Pochi istanti dopo, la porta si aprì, rivelando un Gabriel visibilmente stanco, quelle sotto agli occhi non si potevano certamente definire borse, erano valigie.
«Come sapevi qual'era la stanza giusta?» Gli chiesi incrociando le braccia.
«Joe ha seguito il tuo odore fino a qui, io non avevo voglia di farlo. Puzzi, senza offesa.»
Alzai gli occhi al cielo. «Cosa stavi facendo là dentro?» Mi resi conto, subito dopo averlo chiesto, dell'indole sarcastica che caratterizzava Gabriel, praticamente era la mia versione maschile. Mi preparai al peggio.
«Sai com'è, quando la natura chiama...»
«In effetti, sono due giorni che questo qui non va in bagno.» Lo assecondò l'altro scemo dietro di me. Non mi ero accorta che Joe era nella stanza, ma in un lampo me lo ritrovai dietro di me. Mi astenni dal rispondere, avrei potuto insultare qualcuno.
Ripensandoci, cosa mi tratteneva?
«Siete due teste di...»
«Ehi! Piano con le parole, ci sono dei bambini in questa stanza!» Fece Gabriel, indicando con un cenno del capo Joe. Quest'ultimo gli rifilò un calcio all'altezza delle ginocchia, sentii io dolore per lui.
Gabriel emise un gemito strozzato, imprecando sotto voce. Pochi secondi dopo mi resi conto che Joe non guardava più Gabriel, ma un punto lontano al di là della finestra dietro di lui. Era buio ormai, ma c'erano dei lampioni che rischiaravano la notte. Doveva aver visto qualche movimento oltre gli alberi. Non era un buon segno.
«Gabriel, spegni la luce.» Dissi. Il ragazzo aveva smesso di lanciare insulti, eseguì nonostante la sua espressione lasciasse intendere che non aveva capito il motivo. In un istante, su di noi calò un buio improvviso. Raggiunsi la finestra senza produrre alcun rumore e quando mi affacciai, la prima cosa che vidi furono due uomini che discutevano animatamente sul marciapiede di fronte.
Appena sotto la nostra stanza, invece, vi erano tre anziani che probabilmente tornavano a casa dal piccolo bar in cui avevano passato il pomeriggio. Alzai lo sguardo e fu allora che lo vidi.
Vampiro.
Era uno di quelli che si mimetizzavano con gli umani, corpo caldo, pelle rosea e battito cardiaco, anche se quest'ultimo era più lento del normale. Se ne stava appollaiato su un albero, in mezzo ad un intreccio di fogliame. Invisibile al resto del mondo, ma una presenza palese agli occhi di chi aveva cacciato per anni. I suoi occhi puntavano proprio verso di me, come se mi stesse aspettando. Era inquietante. Non avevo armi con me, nessuno di noi le aveva, ma potevo giocare d'astuzia.
«Perché deve sempre spuntare qualche vampiro pronto a rovinarmi la giornata?!» 
Joe stava iniziando a innervosirsi, lo potevo notare dalle sue mani, non stavano ferme un attimo: prima strette a pugno, poi nelle tasche dei jeans, dopodiché giocherellava con i pollici.
«Me ne occupo io.» Esclamai. Gabriel si avvicinò a me, chiedendomi con lo sguardo se avessi bisogno di aiuto. «Tranquillo, posso sbrigarmela da sola.» Fu la mia risposta.
Uscii dalla finestra e mi arrampicai sulla ringhiera del balcone accanto ad essa. La scavalcai e finii nella terrazza di qualcun altro, che probabilmente non avrebbe gradito una visita così improvvisa, quindi mi sbrigai a saltare sulla scala antincendio lì accanto. Quest'ultima mi fu di grande aiuto per raggiungere il tetto senza problemi.
Poco dopo mi ritrovai su un tetto piatto, la luce della luna rischiarava l'ambiente circostante, conferendo alla notte un'aura bianca che illuminava delicatamente tutti gli edifici raggiungibili dai suoi raggi. 
Il mio sguardo catturò un movimento a pochi passi da me, mi girai di scatto solo per trovarmi di fronte ad un uomo. Un uomo davvero bello, a dirla tutta. Gli occhi verdi avrebbero dato un senso di vertigine a chiunque, tanto erano profondi, e i corti capelli castani risaltavano in modo innaturale la forma della mandibola. La sua bellezza poteva compensare tutti i suoi simili bisognosi di una chirurgia plastica. 
«Sei qui per un motivo preciso o...?» Lasciai la domanda sospesa tra di noi, l'aria carica di tensione.
«Il tuo amico non guarirà.» Non lasciai trapelare nessuna emozione, ma quelle parole furono un pugno allo stomaco. «A meno che non mi ascolti, so come avere la cura.» Mi vennero in mente tutti quei film dove viene comunicata una notizia scioccante e, puntualmente, c'è qualcuno che sputa tutta l'acqua che stava bevendo. L'avrei fatto anch'io, se avessi avuto l'acqua.

HunterWhere stories live. Discover now