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«papà? Dove vai?»

«me ne devo andare.» Lyall appoggiò a terra la sua grande valigia marrone, poi tirò fuori dalla tasca della sua giacca una busta da lettere di carta bianca. Gliela porse e Remus la afferrò senza che suo padre mollasse la presa. «dalla a tua madre, quando torna. Dovrebbe tornare alle due.» Remus aggrottò le sopracciglia, non sapeva leggere l'orologio. Suo padre si avvicinò a lui e si piegò, mollò la busta e gli mise le mani sulle spalle, indicò l'orologio dietro di lui. «quando la lancetta grande raggiunge il due e quella piccola il dodici, capito?» Remus annuì. «ora devo andare, prenditi cura di tua mamma. Chiaro?»

«ma dove?»

«non te lo dirò, Remus. Non cercarmi.» Lyall si rialzò, riprese la sua valigia e aprì la porta d'ingresso, gli lanciò un ultima occhiata. «buon compleanno, figliolo.» gli disse, prima di uscire da casa e percorrere il buio vialetto illuminato solo da una soffusa luce per esterni. Arrivato alla fine della strada, questo scomparì, Remus si chiese perché era successo, non capiva ancora bene la magia e come funzionasse, ma suo padre si era teletrasportato via.

Remus diede un occhiata all'orologio, era posizionato proprio sulla porta, ad ante scorrevoli, che portava dall'entrata al salotto, la lancetta grande era sul dodici, quella piccola era tra il sei e il sette. Non sapeva che cosa volesse dire, ma sapeva che quando la lancetta grande superava l'undici, lui doveva andare a dormire e infatti, così fece. Chiuse la porta di ingresso a chiave, suo padre gli aveva insegnato come farlo, poi salì le scale e andò verso la sua camera. Remus capì cos'era successo solo il giorno dopo, si svegliò con i singhiozzi di sua madre, seduta sul suo letto. Suo padre aveva lasciato una lettera nella busta, lei la stava leggendo, si tappava la bocca con una mano e, tra un singhiozzo e l'altro, tirava su col naso. Remus fece finta di dormire, ma aveva capito: suo padre non sarebbe ritornato.

***

«non si è ancora svegliato?» Sirius scosse la testa, mentre asciugava il viso sudato di Remus con un asciugamano blu. Tabitha si sedette vicino a lui, sul letto su cui avevano spostato Remus quella mattina, e gli accarezzò il viso con una mano. «sta soffrendo, lo sento.» disse, poi gli mise una mano sulla fronte e iniziò ad assorbire il suo dolore, le sue vene divennero nere per qualche secondo.

«che gli ha fatto?»

«ho qualche teoria.»

***

«perché continui a fare così!»

«perché mi hai abbandonato il giorno del mio compleanno, avevo cinque anni!».

«ma ora sono qui!»

«sei qui per mamma. Non per me.» Remus si sedette su una delle sedie della sala d'attesa dell'ospedale, aveva quindici anni adesso ed era di ventato un effettivo lupo mannaro da poco. Si mise le mani sugli occhi, sapeva che avevano già cambiato colore, ma nessuno, essendo in un ospedale babbano, doveva notarlo.

«Remus respira.»

«non mi dire cosa fare. Sarai anche il mio padre biologico,» Remus si tolse le mani dagli occhi, erano ritornati normali, e guardò Lyall. «ma non sei mio papà. Ricardo lo è.»

«lui non è tuo padre, io lo sono.»

«ah sì, Lyall? E allora perché hai smesso di fare il padre quando ne avevo più bisogno?» Lyall si alzò, Remus aveva smesso di chiamarlo "papà" da un bel pezzo, ma da quando era tornato, perché sua madre era finita in un incidente stradale, lo faceva per una ragione: per ferirlo. Il problema era che farlo era un'arma a doppio taglio, ogni volta che lo faceva si ricordava che suo padre, colui che avrebbe dovuto proteggerlo, se n'era andato e l'aveva lasciato da solo, gli faceva male.

Just the Two of Us - DrarryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora