Capitolo 9

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Blake

Il sabato sera io e Ava riuscimmo finalmente a inaugurare lo stand del tiro a segno nel bel mezzo dell'Elm Park, e il fatto che l'apertura coincidesse con quella del luna park era stato solo l'ennesimo colpo di fortuna. Eravamo circondati da attrazioni di tutti i tipi, da un'alta ruota panoramica che sfiorava le fronde degli alberi fino ad altri stand dov'era possibile vincere i premi più disparati. Le luci colorate viaggiavano in ogni direzione, illuminando il prato calpestato dalla folla.

Quella poteva essere considerata come la tipica serata estiva a Worcester. La metà di giugno, da poco passata, ogni anno riportava in vita la piccola cittadina; soprattutto nel periodo che precedeva il quattro luglio, le persone camminavano per le stradine del parco come un fiume in piena.

Avevamo tentato di spendere meno denaro possibile per avviare quell'attività. Lo stand era piccolo – tanto che non avevamo avuto nemmeno la possibilità di garantire la distanza standard di venticinque metri tra il tiratore e il bersaglio – e i premi erano scadenti, ma erano il minimo indispensabile per intrattenere gli abitanti e i turisti occasionali. Sorrisi pensandoci, mentre appendevo un pupazzo colorato in un angolo.

«Dove hai messo la scatola con le pistole?» mi chiese Ava, risvegliandomi dalle mie riflessioni.

«Sul retro» le risposi a denti stretti, tenendo una striscia di nastro adesivo tra le labbra. La presi e appesi un altro premio al pilastro ligneo che reggeva la tettoia sopra le nostre teste.

La vidi andare e tornare con la coda dell'occhio. Serrò le palpebre in preda alla fatica, quindi abbandonai ciò che stavo facendo per andare ad aiutarla. La liberai quindi del peso gravoso della scatola di armi, che appoggiai subito dietro il bancone.

«Puoi finire di esporre i premi?» le domandai. «Mi occupo io delle armi».

«Controlla che siano scariche», si raccomandò con un cipiglio serio.

Sapevo fin troppo bene il motivo per cui me lo diceva, tuttavia scossi il capo, accantonando quel pensiero. Disposi cinque pistole sul bancone, di un metallo grigio scuro e freddo. Accanto a esse, prelevandole da un altro scatolone malmesso, sistemai due carabine. Controllai che nessuna delle due fosse quella con il mio nome inciso sul calcio, poi mi guardai intorno. Era tutto in ordine, esattamente come la mia indole perfezionista mi dettava.

Spostai le scatole contenenti le armi di riserva, lasciando dietro il bancone solo quelle piene fino all'orlo di cartucce. Se c'era una cosa di cui io e Ava ci raccomandavamo a vicenda, quella era senza ombra di dubbio badare alla sicurezza altrui. Non avremmo commesso nessun passo falso, considerando che al luna park erano presenti anche i bambini più piccoli – che, ancora, non potevano prendere parte al gioco a premi, in quanto non possedevamo più gli youth rifle ad aria compressa, ma potevano assistere alle prestazioni di genitori, fratelli o amici.

Mi voltai per guardare la disposizione dei bersagli. Erano affissi su una parete sottile, ma abbastanza resistente da non rovinarsi sotto i colpi numerosi.

«Direi che è tutto pronto» dichiarai. Osservai il nostro operato con fierezza, contento di aver ridato vita a una tradizione famigliare che stava perendo. «Potresti collegare la corrente?» chiesi ad Ava.

Senza proferire una singola parola, si recò sul retro dello stand e fece quanto ordinatole. La luce calda inondò il piccolo spazio, illuminando armi e bersagli, e ancora una volta stirai le labbra in un sorriso.

Mia sorella tornò al mio fianco e, insieme a me, studiò il risultato finale. Potei immaginarla persa nella sua miriade di riflessioni, ma poi si voltò nella mia direzione. Mi guardò con le iridi verdi e scure che brillavano di orgoglio, come se, oltre al nome dei Mitchell, avessimo dato alla luce anche un ricordo che entrambi custodivamo nel cuore e nella mente.

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