Capitolo 30 (pt. I)

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Blake

Era una delle ultime sere di luglio, ma il luna park brulicava di persone come se fosse stato l'inizio dell'estate. Le radio delle attrazioni e degli stand che attorniavano il mio riproducevano le canzoni più disparate, i cui testi si fondevano l'uno con l'altro in un'unica sinfonia indecifrabile, e la stessa cosa accadeva ai fasci di luci variopinti interrotti solo dai lampioni che costeggiavano i sentieri dell'Elm Park.

Si poteva parlare di una serata tranquilla quasi giunta al termine, la cui affluenza non era stata esagerata, tanto che io e Ava eravamo riusciti a gestire il lavoro nel migliore dei modi possibili. Alcune delle nostre armi giacevano sulla superficie legnosa che ci divideva dal pubblico, mentre altre erano brandite da coloro che si dimostravano curiosi di provare a vincere dei premi scadenti puntando al bersaglio.

Io e mia sorella eravamo diventati gli spettatori abituali di quello spettacolo, che veniva messo in atto dalla folla che scorreva a fiumi e dal riverbero degli spari a noi famigliari. Lei consegnava i premi, io caricavo le armi e talvolta ci scambiavamo i ruoli. Il guadagno era sicuramente aumentato rispetto a quello ricavato dalla misera attività del poligono, ormai posto nel dimenticatoio di tutti gli abitanti di Worcester.

Niente poteva andare meglio. Anche la pioggia torrenziale di quel pomeriggio aveva smesso di scrosciare e forse un po' mi mancava, perché era stata la fedele compagna di tutti i minuti trascorsi con Rylee.

Quello era diventato un pensiero che mi artigliava la mente. Era senza dubbio un conforto per la mia testa, che di recente era stata vittima di diverse ansie e tribolazioni, ma mi distraeva durante il turno e più volte, quella sera, dovetti subirmi i pugni scherzosi che Ava sferrava al mio bicipite.

La verità era che dovevo realizzarlo, e, quando mi rifugiavo nelle innumerevoli riflessioni che ne concernevano, gli spari intorno a me diventavano ovattati e le luci si sfocavano, perché mi perdevo totalmente nell'immagine di lei, del suo corpo meraviglioso coccolato dal mio, dell'unione che avevamo raggiunto superando le nostre più grandi debolezze.

Forse era presto per fare la benché minima considerazione sul nostro rapporto, ma non potevo mettere a tacere i brutti scherzi che la mia voce mentale mi giocava. Si stava auto-convincendo di quella infatuazione sempre più intensa e non mi restava che adeguarmi, con arrendevolezza, alla sua ineluttabile opinione. In cuor mio sapevo che era giusta, nonostante non volessi ammetterlo o urlarlo ai quattro venti.

Un altro buffetto di mia sorella bastò a ridestarmi e io scossi il capo. Avrei pregato di ricevere una secchiata d'acqua gelida in pieno viso, se ciò fosse servito a risvegliarmi del tutto, ma dovetti accontentarmi di sfregarmi gli occhi con le dita nella vana speranza di non sciogliermi alla visione della nitida fotografia di Rylee che la mia mente mi stava riproponendo a oltranza.

«Stasera non solo sei su un altro pianeta, ma in un'altra galassia» constatò Ava, e dalle sue labbra uscì il suo solito risolino da ragazzina. Con fare scherzoso, poi, schioccò le dita dinanzi al mio viso. «Non ti chiederò a cosa stai pensando, perché credo di saperlo già» premise, «ma se vuoi raccontarmelo, sono tutta orecchi».

«Io credo che questa giornata resterà impressa nella mia testa per sempre, invece» confessai. Le mie dita mi si infilarono tra capelli e li tirarono appena nel tentativo di rendermi vigile.

«Una cosa è certa» dichiarò, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi al parapetto che ci separava dal suolo pubblico. Con gli occhi vispi, scrutò i ragazzini intenti a sparare e, al contempo, riuscì a concentrarsi sulla nostra conversazione. «Se è successo ciò che penso, cosa di cui sono fermamente convinta» precisò, «hai superato la tua paura più grande».

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