Capitolo 41

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Blake

La mia famiglia abitava nello stesso appartamento da anni, poco lontano dal centro di Worcester e dal verde dei suoi parchi rigogliosi. Era una casa accogliente, la nostra, con poche stanze illuminate dalla luce calda, che arginava all'esterno il buio dell'inverno rigido. Fuori, la neve; dentro, il calore di quattro persone che si amavano l'un l'altra.

Io, Ava, mamma e papà non potevamo separarci. Il nostro legame era insito nella nostra natura, radicato nei nostri cuori che bruciavano di affetto reciproco. Eravamo una bella squadra, e me ne rendevo conto pur essendo un bambino di soli sei anni. I miei genitori ci avevano trasmesso l'ideale di una famiglia unita, che avrebbe potuto fronteggiare ogni avversità se non si fosse divisa – ironico come il destino ci avesse riservato proprio quella fonte di dolore.

Mia sorella era la mia migliore amica, la mia anima gemella. Una grande parte di me sarebbe stata sua per sempre e ne ero ben consapevole. Eravamo la felicità l'uno dell'altra, soprattutto perché solevamo tenerci compagnia come non accadeva neanche con gli altri bambini, nostri coetanei, a scuola o al parco giochi.

Quella era una fredda sera di dicembre del 1966. Le vacanze invernali erano vicine, nel Massachusetts aveva iniziato a nevicare e tutto era coperto della magia di quella coltre immacolata. Le strade erano addobbate per Natale, Worcester era diventata un tripudio di decorazioni rosse e dorate, di giocattoli esposti in ogni vetrina. Per noi, quello era uno spettacolo incantatore. Fuori dalla piccola finestra della nostra stanza impazzava una bufera di neve, che si solidificava sui marciapiedi e li rendeva scivolosi. Noi eravamo riparati al caldo, due maglioncini di lana indosso e i termosifoni accesi, impegnati a giocare nel nostro fortino di cuscini e coperte.

La luce aranciata ci illuminava il viso, filtrata dalla stoffa sottile. Io scorgevo ogni singola lentiggine di Ava, lo scintillio che le riluceva nelle iridi, e lei vedeva lo stesso in me. Eravamo uguali, l'esatta copia l'uno dell'altra. Lei mi prendeva spesso in giro per i capelli lunghi che mi sfioravano la mandibola, arricciati in onde leggere, dicendo che le assomigliavo troppo. Ma a me piacevano, perché erano un'altra piccola manifestazione del nostro legame indissolubile, della nostra incredibile vicinanza. Eppure, lei, più espansiva e gioviale di me, mi derideva affettuosamente anche con gli altri. Sapevo che non lo faceva con malizia: amava divertirsi con le persone. Incarnava il mio esatto opposto, il contrario di una personalità taciturna e solitaria come la mia.

Medesimo aspetto, carattere agli antipodi.

Quando smisi di perdermi nei miei pensieri, riportai lo sguardo su di lei. In ginocchio, stava sistemando l'angolo di una copertina, sfuggito alla struttura di quel capolavoro architettonico, e con l'altra manina si stava liberando di una cioccia di capelli scuri che le ricadeva sugli occhi.

«Non mi aiuti mai!» sbuffò, ammonendomi, e si lasciò cadere a terra. Si riassestò e si sedette a gambe incrociate, con il broncio stampato sul viso angelico.

«Ma l'ho costruito tutto io!» obiettai, la voce che uscì acuta. Non mi piaceva che mi accusasse di essere un nullafacente, soprattutto perché adoravo aiutarla per poi giocare con lei.

«Quando le coperte cadono, tu mi guardi e basta» si intestardì, incrociando le braccia al petto. Così facendo coprì i fiori colorati ricamati sul suo maglioncino bianco, ben diverso dal mio, nero e adornato da semplici righe bianche. «Sei più alto di me, dovresti aiutarmi» continuò. Se Ava aveva un difetto, era sicuramente quello di prendersela per le piccolezze e di comportarsi da vera testa dura qual era.

Mi divertivo tantissimo a farle i dispetti per farla spazientire. Io ero tranquillo, non mi adiravo mai – addirittura, mamma mi accusava di essere troppo buono e paziente. Trovavo, però, un certo diletto nel prendere in giro quel lato del suo carattere. Quindi afferrai una copertina che era avanzata dalla costruzione del fortino, mi coricai sui cuscini sparsi sul pavimento e mi coprii. «Buonanotte», dichiarai con un sorrisetto soddisfatto.

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