EXTRA - Dom

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Remsen Village, New York, 1981

Il clima di gennaio, a New York, era uno dei più rigidi. La brezza fredda soffiava dal mare, investendo l'intero distretto di Brooklyn, e infastidiva le persone più sensibili.

Rifugiati tra le pareti di casa, tuttavia, le temperature erano sopportabili. I termosifoni diffondevano calore in tutte le stanze e il fuoco del caminetto in soggiorno brillava riflesso nel parquet lucido. Fuori dalle finestre, il sole splendeva e la neve ai lati delle strade riluceva, abbracciata dai suoi raggi dorati.

Era una giornata come le altre, quella. Tutto procedeva alla normalità e non accadeva nulla di straordinario. I miei genitori non si erano ancora sbarazzati delle decorazioni del Natale appena trascorso: i fili di lucine arrotolati intorno ai rametti dell'abete sintetico scintillavano, passando da un colore sgargiante all'altro, e mamma e papà non avevano smesso di improvvisare balli di coppia a ritmo di motivetti festivi.

Avevamo appena finito di pranzare. Al piano inferiore regnava il tintinnio di stoviglie e piatti puliti, pronti a essere sistemati, mentre nella mia stanza era protagonista un silenzio confortante. In quel momento ero da solo, impegnato a sistemare il disordine che io e Rylee avevamo lasciato nella mia minuscola camera da letto, mentre lei si preparava per uscire.

La mia Rylee.

A volte, rintanato nella solitudine, riflettevo sulla fortuna che avevo avuto per conoscerla. Ci eravamo ritrovati nello stesso gruppo di amici per un fortuito caso del destino e, nonostante la differenza d'età che ci separava, la sintonia che intercorreva tra noi era troppo intensa per essere ignorata. Neanche un mese dopo, ero finito per uscire con lei.

Non avrei mai ringraziato abbastanza la vita, per avermi concesso di vedere quello scorcio di beatitudine.

Ci pensai a lungo, trovando un posto per ogni cianfrusaglia presente nel cassetto della mia scrivania. Era pieno di cartacce e oggetti inutili, accumulati perché solevo aprirlo di rado. Tra esse, però, decisi di trovare un ottimo nascondiglio per un regalo che avevo comprato proprio per Rylee: un anello che, dopo quattro anni di relazione, avrei voluto usare per chiederle di sposarmi.

Tutto per un impulso, una scarica d'incoscienza: nessuno dei due conosceva il sapore di una vita stabile, né di uno stipendio che fosse sufficiente. Rylee lavorava come cameriera e io, per passione e vocazione, guadagnavo insegnando il pattinaggio ai più piccoli. Entrambi godevamo di una certa indipendenza, ma quest'ultima non sarebbe mai bastata per sostenerci.

Eppure, io volevo che Rylee fosse il mio futuro. Sognavo di chiamarla Rylee Morgan, un giorno.

Quel giorno, però, non sarebbe arrivato in fretta. Non faticavo a cantare del mio amore per lei, a tessere le sue lodi senza sosta, ma l'idea di compiere quel passo mi terrorizzava. Nonostante le rassicurazioni, nella mia testa girovagava sempre l'ipotesi che lei avesse potuto respingermi. Obbligai me stesso ad aspettare il momento giusto, perché avevamo un'infinità di mesi e anni da goderci insieme.

Ci sarebbe stato tutto il tempo necessario.

«Oggi mi sono preparata in meno tempo del solito» mi comunicò una voce, una nota d'allegria che conoscevo bene.

Quando Rylee fece il suo ingresso nella mia stanza, comparendo sulla porta, avevo ancora la scatolina dell'anello tra le dita. Mi affrettai a camuffarla tra i vari oggetti che popolavano il cassetto, sparsi sul fondo, e lo chiusi con una velocità che non sarebbe passata inosservata. Con altrettanta fretta, mi ci appoggiai e lo tenni serrato con la sola forza del bacino, le braccia incrociate al petto e un sorriso da ebete stampato sul volto.

Puntai lo sguardo verso di lei e ne rimasi incantato. Come sempre. Incredibile come riuscisse a essere mozzafiato indossando un semplice paio di jeans e un maglioncino a quadri, sdrucito dal passare degli anni. I capelli castani le ricadevano sulle spalle, le ciocche ondulate le carezzavano il viso: era perfetta senza compiere sforzo alcuno. La giovialità che emanava solo sorridendo riusciva a farla brillare anche nella sua semplicità.

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