Capitolo 13

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Rylee

Le mani calde di Blake sulla mia schiena ebbero l'effetto opposto: diventai un cristallo di ghiaccio, freddo e rigido, che si raddrizzò con movimenti meccanici. Avevo appena avuto un calo di pressione, come spesso mi capitava in piena estate, ma avevo contemplato il rischio di cadere. E forse per il luogo in cui mi trovavo, forse per le circostanze, mi venne in mente il medesimo, ossessivo pensiero.

Avevo iniziato a reagire meglio, pensai. Ero riuscita, per qualche mese, a comportarmi come se niente fosse successo, come se il mio fosse stato un banale trasferimento dalla Grande Mela a una cittadina pressoché deserta. Era arrivato il momento di ricominciare a farlo, consapevole della piega che prendeva il mio umore quando mi lasciavo trascinare via dalla corrente dei pensieri, e la regola era una sola: divertirmi, ridere e fregarmene.

Scolpii un sorriso sul mio volto, ringraziando Blake e Ava in silenzio per la loro prontezza. Poi mi voltai verso l'orologio appeso alla parete: le lancette stavano scoccando le sei in punto. Tempo mezz'ora e avrei dovuto essere al Kenmore.

Afferrai la mia bottiglietta d'acqua. «Scusate, gemellini, ma è meglio che io corra via, o Lewis mi uccide» dichiarai con un risolino. «Vado a cambiarmi e vengo a salutarvi».

Senza attendere una risposta o un cenno di assenso, mi alzai dalla panca e pattinai fino all'entrata dello spogliatoio dello Skylite. Mi lasciai cadere su una delle panche e slacciai i pattini, abbandonandoli sul pavimento di piastrelle gelide. Mi disfai dei leggings che usavo ad allenamento, così come della maglietta che meritava un bel lavaggio, e indossai i vestiti con cui ero arrivata: un paio di jeans slavati e una canotta dalla scollatura profonda – come se avessi avuto qualcosa da mostrare –; infilai, infine, i pattini nella loro sacca logora. Misi le scarpe, legando i lacci in un fiocco, e afferrai la sacca di tela per il cordino. Strinsi la mia coda di cavallo per renderla più stabile.

Quando tornai in pista, Ava era ancora seduta a discutere con suo fratello. Dal cipiglio serio che regnava sul suo volto, intuii che la faccenda era preoccupante, ma non domandai nulla a riguardo. Erano affari privati e tali dovevano rimanere, a meno che lei stessa non avesse voluto fare un passo avanti e raccontarmi tutto.

«Io vado, allora» annunciai, interrompendo la loro conversazione. Entrambi alzarono lo sguardo su di me. «Ci vediamo domani pomeriggio?» chiesi ad Ava.

Lei annuì. Gesticolando, quindi, mi domandò: «Tu e Lewis siete liberi domenica sera? Potreste fare un giro al luna park, dato che non lavorate. Venite a trovare due lavoratori instancabili», e rise della sua proposta.

«Sì, perché no», le sorrisi di rimando. In realtà, dentro di me, ero restia ad avvicinarmi al loro stand. «Glielo chiedo e ti faccio sapere».

I suoi occhioni verdi si spostarono sul fratello, e gli scompigliò affettuosamente i capelli con la mano. Sul volto di Blake comparve un sorriso divertito. «Vieni a vedere il mio campione».

Il modo in cui lo guardava era imparagonabile. Non sapevo nulla della loro famiglia, ma l'amore che trapelava dai gesti, dagli sguardi e dalle parole di Ava nei confronti di Blake era sincero e puro, come solo un sano rapporto fraterno poteva essere. Una scintilla le ornava le iridi ogni volta che lui era l'oggetto della conversazione.

«Cercherò di convincere quel pelandrone», ridacchiai perdendomi nella canzonatura del mio amico. «Ora vado. Ciao, ragazzi» presi commiato mentre iniziavo ad avviarmi verso l'uscita.

«Buon lavoro!» urlò Ava alle mie spalle.

«Grazie!» risposi, uscendo definitivamente dallo Skylite.

Il sole era ancora alto nel cielo e rendeva bollenti le carrozzerie colorate delle auto parcheggiate. Aver recuperato la mia dopo pochissimo tempo mi permise di tirare un respiro di sollievo. Se non fosse stato per la pazienza di mio padre, probabilmente, sarei stata ancora costretta a vagabondare a piedi con quaranta gradi all'ombra e nessuna traccia di vento fresco. Così, una volta aperta la portiera, salii a bordo del veicolo lanciando la sacca sul sedile posteriore: era evidente la necessità di cambiare la tappezzeria e di riverniciare l'esterno, ma non avevo né il tempo, né i soldi per farlo. Sorvolando, avviai il motore e mi immisi nella carreggiata.

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