Capitolo 14

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Rylee

La domenica di quella settimana, io e Lewis ci recammo al luna park dopo aver cenato. Non avevamo mangiato a casa perché volevamo goderci una serata insieme all'aperto, considerato che l'ultimo periodo era stato un continuo passare dagli alti ai bassi e mi sentivo in colpa averlo fatto preoccupare. Cercare di rimediare mi sembrava il minimo, e quale occasione migliore per sfruttare l'invito di Ava?

Non ci eravamo ancora avvicinati, tuttavia, allo stand del tiro a segno. Stavamo passeggiando; i nostri sguardi curiosi vagavano di attrazione in attrazione, dai giochi a premi alla ruota panoramica che svettava al di sopra delle chiome degli alberi. Il cielo iniziava a tingersi delle sfumature aranciate del tramonto estivo, e lo specchio d'acqua che scindeva in due aree l'Elm Park rifletteva quei colori mozzafiato. Su entrambe le sponde regnavano folle immense di persone che si godevano la bella stagione, tra momenti in famiglia, musica e luci variopinte.

Quella sera, però, soffiava un vento fresco. Indossavo, infatti, la giacca di Dom recuperata a Brownsville, che mi riparava dalla brezza come il mio top scollato e gli shorts non potevano fare. L'aria mi spettinava la frangetta così come scompigliava il ciuffo biondo del mio migliore amico, ma era di gran lunga più piacevole dell'afa.

«Hai preferenze riguardo al cibo?» mi chiese Lewis all'improvviso, circondandomi le spalle con un braccio. Coloro che non ci conoscevano avrebbero potuto scambiarci per una coppia.

Alzai lo sguardo nella sua direzione, notando il suo profilo; la gobbetta sul naso visibile solo da vicino smorzava la dolcezza dei suoi lineamenti. «Pizza?» proposi con un sorriso.

Lui alzò gli occhi al cielo, arridendo di rimando. Capii che, nella sua mente, quella risposta era più che scontata.

Avvinghiata a lui, sotto il suo braccio che simulava un'ala protettrice, sfilammo dinanzi a tutti gli stand di giochi a premi fino ad arrivare a quello dedicato al cibo. La coda non era lunghissima, per nostra fortuna, così ci unimmo alla fila.

«Stasera offro io, non voglio sentire nulla in contrario» sentenziò, mentre la gente avanzava man mano che ordinava quanto desiderato.

Misi il broncio come una bambina e lo guardai. Sapeva che odiavo quando qualcuno intralciava la mia indipendenza, sia personale che economica. Nella vita avevo avuto l'occasione di maturare in fretta e di capire come funzionava il mondo, e ce l'avevo messa tutta per sopravvivere senza l'aiuto di nessuno.

Quei piccoli gesti, per quanto amorevoli, mi sembravano un ostacolo.

Sapevo, tuttavia, che Lewis non accettava dei "no" come risposta. Sbuffai sconfitta.

«Solo se dopo mi permetti di comprare lo zucchero filato» ribattei.

«Alla fragola?» mi domandò quando fummo a un passo dal cassiere che prendeva gli ordini.

Dal ricordo di una delle tante abitudini della nostra infanzia nacque un sorriso, e l'espressione corrucciata presente un attimo prima scomparì dal mio volto. «Non devi neanche chiederlo».

Non appena fu il nostro turno, Lewis ordinò due tranci di pizza margherita e aspettammo qualche minuto. Ce la consegnarono in due confezioni di cartone bollenti, che reggevamo con una mano, l'altra impegnata ad avvicinare quella delizia alle labbra. Lewis pagò e insieme riprendemmo a camminare in mezzo alle decine di persone, godendoci la nostra cena rifugiati in un silenzio riempito dalla musica che si confondeva fra le chiacchiere altrui.

Impiegammo poco tempo per finire i tranci. Gettammo le scatole di cartone in un cestino ricolmo di rifiuti e la nostra passeggiata continuò.

Era una semplice serata in compagnia e quel pensiero mi rasserenò. La presenza del mio migliore amico, che mi stringeva a sé, era tutto ciò che mi serviva per poter dichiarare di stare bene, nonostante tutto.

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