Capitolo 25

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Premessa:
In questo capitolo verranno trattati argomenti delicati quali aborto, violenza sessuale e dipendenze.
Se siete sensibili a questo tipo di tematiche, vi chiedo cortesemente di non procedere con la lettura.
Abbiate sempre cura di voi.

Rylee

Il giorno seguente, rintanata nell'angusto bagno del Kenmore, fissai irritata il mio riflesso nello specchio. Avevo appena finito di lavorare e, dopo la tranquillità del turno mattutino, ero in pessime condizioni. La divisa era appallottolata alla bell'e meglio nello zainetto che avevo con me; la coda di cavallo era ormai sciolta, a liberare le onde castane che si adagiavano sulle spalle scoperte. Sul mio viso, invece, regnavano due profonde occhiaie violacee: in seguito al litigio con Lewis, il sonno era diventato un concetto utopico. Non riuscivo a dormire, sapendolo nella stanza accanto, ma lontano anni luce da me.

Eppure, nelle tenebre delle ore che seguirono la nostra discussione, scorgevo anche uno spiraglio di luce.

Quel bagliore prendeva il nome di Blake Mitchell.

Il ragazzo che mi stava aspettando nel parcheggio dinanzi alla tavola calda, sotto il sole cocente di luglio. Lo stesso per cui tentai di curare minimamente il mio aspetto, sistemando i capelli con le dita e inumidendomi il viso con l'acqua gelida, per apparire più sveglia. La persona per cui evitai di abbuffarmi e ignorai i brontolii incessanti del mio stomaco, che notificavano lo scoccare dell'ora di pranzo.

Lui era lì fuori e io, come una furia, decisi di accontentarmi del mio aspetto per non farlo attendere e spazientire.

Uscii dal bagno a passo svelto e, con altrettanta fretta dovuta a un velo di elettrizzante agitazione, percorsi la lunga sala del locale. Gli unici rumori udibili erano quelli provenienti dalla cucina, dove Lewis si era isolato aspettando che il suo turno avesse inizio; anche quel giorno, però, mi aveva rivolto solo un saluto forzato. La sua spontaneità e il suo calore nei miei confronti erano sfumati in una distesa di nulla, un vuoto colmabile solo da un'altra compagnia.

Il campanello tintinnò sopra la mia testa quando, tirando verso di me la porta d'ingresso, misi piede fuori dal ristorante. Il sole batteva insistente sull'asfalto, e il parcheggio godeva di un'ampia zona d'ombra solo nei punti in cui era coperto dal ponte della strada sopraelevata.

Blake, tuttavia, aveva preferito il rischio di prendersi un colpo di calore.

Il mio sguardo lo trovò mentre sostava, solo, in uno dei posti auto delimitati dalle linee bianche dipinte sul suolo. La sua schiena aderiva perfettamente al veicolo parcheggiato in retromarcia. I raggi solari gli indoravano il volto, evidenziando le lentiggini; gli occhi smeraldini, invece, erano concentrati sui pollici che si girava nervosamente all'altezza della pancia. Con le ciocche di capelli ad adombrargli la lieve durezza dei lineamenti, soprattutto l'angolo perfetto disegnato dalla mandibola, quello spettacolo appariva ancora più mozzafiato del solito.

«Scusa per il ritardo» proferii, e imposi al mio corpo di accennare un sorriso che sembrasse spontaneo. «Lo sai, ho finito adesso».

«Non preoccuparti, Lee» rispose. Quella voce calma e roca, per l'ennesima volta, disseminò un campo di brividi sulla mia pelle. Discostandosi dal pick-up, le sue dita si chiusero sulla maniglia della portiera del lato del passeggero, che fece scattare per aprire quest'ultima. «Oggi voglio che tu ti rilassi» mi disse. «Abbiamo mezz'ora di strada» mi informò, poi, confermando quanto stabilito il giorno precedente.

Lo ringraziai con un cenno del capo e un'espressione di gratitudine, prima di salire a bordo della vettura. Il caldo all'interno dell'abitacolo era insostenibile, e lo divenne ancora di più quando lui richiuse la portiera. Aggirò il veicolo e occupò il suo solito posto, dinanzi al volante. Prima di mettere in moto, mi rivolse un altro sguardo colmo di quella premurosità che lo caratterizzava.

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