Capitolo 27

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Blake

La mattina successiva a quella notte tediosa fui risvegliato dai caldi raggi solari che, insistenti, battevano sul parabrezza del pick-up e iniziavano a intiepidire l'abitacolo. Così, la prima cosa che feci fu allungare appena il braccio per abbassare il finestrino tramite la manovella.

Non sapevo che ora fosse, ma l'alba era sicuramente già passata da un po'. Il silenzio, tuttavia, era il solo protagonista: quell'area di Worcester taceva e godeva di un'inconsueta tranquillità.

Rylee stava ancora dormendo seduta sulle mie gambe. Con il capo adagiato sulla mia spalla, i capelli arruffati e le mie braccia a cingerle dolcemente la vita sotto la coperta, era riuscita a riposarsi dopo tre lunghe notti insonni. Accorgendomi della prima calura della giornata, però, la liberai subito del plaid, che abbandonai stropicciato sui sedili posteriori. Lei si mosse come se avesse percepito quel cambiamento repentino, ma non aprì gli occhi. Era ancora appisolata, con la serenità dipinta in volto e i respiri lenti, cheti rispetto a quelli delle ore precedenti. Dormiva con le labbra appena schiuse, rosee e piene, che indirizzavano il fiato caldo sul mio collo. Io, dal canto mio, non potei fare a meno di continuare a stringerla a me.

Non mi sarei privato della vicinanza dei nostri corpi neanche sotto tortura.

Era presto per affermare con certezza che quella ragazza mi stesse mandando in cortocircuito il cervello, impedendo il corretto funzionamento del mio senno, ma la mia mente, in fondo, se ne rendeva già conto. Anch'io, riservandole delicate carezze e rassicurazioni, ero riuscito a stare meglio con me stesso. Il modo in cui la nostra situazione si era evoluta stava cancellando ogni mia paura, rimpiazzandola con vere e proprie fonti di forza.

L'istinto più potente che mi ero imposto di seguire era quello di prendermi cura di lei, anche badando alle piccolezze.

Quel giorno, infatti, non la svegliai per farla arrivare in tempo al lavoro. Era una scelta moralmente scorretta, perché il turno mattutino al Kenmore spettava a lei e parecchi lavoratori gradivano le sue colazioni per pochi spiccioli, ma in quelle ore la tavola calda si limitava a essere un locale buio e silenzioso, privo della sua presenza. Ero consapevole delle ipotetiche conseguenze, ma lei necessitava del sano riposo che le stavo concedendo; era fondamentale per far sì che riprendesse in mano la sua vita, dopo tutto quello che stava accadendo fra noi.

Tutti quei pensieri affollarono la mia mente, stimolati dal silenzio circostante. In lontananza, solo il rombo delle auto che sfrecciavano sulla sopraelevata che gettava ombre su quel piccolo agglomerato di palazzine. Ancora assonnato e appesantito dalle riflessioni, quindi, socchiusi le palpebre e lasciai ciondolare il capo; la mia guancia entrò a contatto con il capo di Rylee. Il sole mi cullò con i suoi raggi e io approfittai della quiete di mezza estate.

La tranquillità, però, non durò a lungo. Fu interrotta da un bussare cadenzato e seccante, che mi fece riaprire gli occhi. Nel mio campo visivo fece capolino la figura di Lewis, con un'espressione sul viso tanto neutra da spaventarmi, che colpiva ripetutamente il parabrezza in cerca di attenzioni. Quando le ottenne, infatti, smise seduta stante. Ciò che non cessò di fare fu guardarmi.

La sua persona iniziava a non andarmi a genio. Stando al racconto di Rylee di due giorni prima, lui aveva agito impulsivamente per la sua gelosia e stava per percuoterla, e io non potevo accettare un trattamento così egoista nei confronti della ragazza che stavo stringendo contro il mio corpo.

«Dovrebbe andare al lavoro» esalò all'improvviso quando si accorse delle mie attenzioni, e additò la sua vecchia amica. «Anzi, dovrebbe essere là già da un po'» precisò saccente.

«Era stanca», la giustificai. Cercai di non cedere a un accenno d'ira che rimontava in me e gli risposi con la massima calma. Con un movimento che non la disturbasse, poi, le sistemai le gambe per farle assumere una posizione più comoda. «Lo sai che ultimamente non sta dormendo bene, vero?» lo interrogai.

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