Capitolo 24

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Blake

«'Notte» mi disse lei, ma la scintilla presente nelle sue iridi scure, oramai, si era indebolita.

Prima di scendere i gradini della palazzina per dirigermi nell'androne e uscire, però, le rivolsi un altro sguardo. La luce fioca del pianerottolo le illuminava il profilo del volto, mentre spingeva la porta socchiusa dell'appartamento, e, quando sparì, l'ultima cosa che vidi furono le sue labbra ancora gonfie per il bacio.

L'idea delle nostre bocche entrate in collisione mi stava disorientando, tanto da diventare una nube che mi ottenebrava i pensieri, permettendo di figurare, nella mia mente, solo il gesto che ci aveva uniti. Era un'immagine indelebile, vivida come l'inchiostro scuro di un tatuaggio inciso sul cuore.

Con le mani in tasca, uscii e mi addentrai nel silenzio notturno della zona del Kenmore. Intorno a me regnava il frinire delle cicale nascoste nelle aiuole, tipico suono estivo, e l'afa risaliva soffocante dall'asfalto ancora tiepido dopo il sole della giornata di luglio. Ero sicuro, però, che l'arrossamento delle mie gote non fosse tanto dovuto al caldo, quanto al modo in cui quel contatto aveva appiccato un incendio che mi bruciava dentro.

Io e Rylee eravamo diventati fuoco contro fuoco. Lei, con le fiamme del suo ardente desiderio di vivere, e io, con le sole ceneri di ciò che il mio piromane passato aveva distrutto.

Rimaneva un mistero: se avessimo iniziato a giocare, chi si sarebbe scottato?

Nemmeno quando tornai all'interno dell'abitacolo del pick-up smisi di rifletterci su. Avevo lo sguardo perso nel vuoto che le labbra morbide di Rylee avevano lasciato, e non c'era modo di colmarlo. A circondarmi solo la notte inoltrata, le macchine che sfrecciavano sulla sopraelevata che gettava ombre sul parcheggio e un velo di magia di cui non comprendevo l'origine.

«Ci hai messo un'eternità» ridacchiò Ava, riportandomi alla realtà. All'udire la sua voce, obbligai la mia testa a interrompere quel flusso opprimente di pensieri contrastanti.

Con lo sforzo immenso di non rimanere pietrificato, la mia mano agguantò la chiave del veicolo ancora infilato nell'apposita fessura e feci per metterlo in moto, ma mia sorella me lo impedì, chiudendo il suo palmo attorno alle mie dita.

«Sono passati venti minuti, Blake» sorrise, ancora, divertita dai miei silenzi. «È tutto okay? Rylee sta bene?» mi domandò a raffica, riconquistando la serietà. Per qualche minuto, la preoccupazione nei confronti della sua amica mi salvò dal doverle confessare quanto accaduto.

«Sì, sta bene» confermai. Non le rivolsi sguardo alcuno, intento a fissare, incantato, la palazzina che avevo appena lasciato. Solo un paio di luci erano accese, in tutto il condominio, e mi godetti la vista della stanza illuminata al secondo piano. Pregai di scorgere la sua sagoma, ma lei non si fece mai viva, e sull'appartamento che ammiravo da lontano calò l'oscurità. «Era ancora un po' brilla e l'ho aiutata a entrare in casa», ridacchiai con l'intento di smorzare quella tensione, e di non far insospettire Ava.

«E..?» proseguì lei, come un'investigatrice a caccia di informazioni preziose. Sorrideva, gli occhi vispi che trasudavano curiosità. Come biasimarla.

«Cosa?» risi ancora. «Hai la stessa espressione che avevi quando ti raccontavo degli scherzi che facevo a mamma e papà di nascosto».

«Forse perché anche adesso mi stai nascondendo qualcosa? Blake, sono tua sorella, credi che non me ne accorga?» continuò.

Rilassai le spalle e ritirai la mano, lasciando la chiave del pick-up nella fessura. Il portachiavi di cuoio dondolò ed emise un lieve tintinnio, che pochi secondi dopo sfociò nell'ennesimo silenzio tombale. In grembo, giocherellai con le dita, formando intrecci che alleviassero il mio nervosismo.

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