Epilogo

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Blake - 1987

Un disco in vinile ruotava sul piatto del giradischi in salotto, emettendo un insieme di melodie natalizie. Lo udivo dalla cucina mentre, confinato sulla sedia a rotelle, armeggiavo con qualche stoviglia per occuparmi degli ultimi accorgimenti prima del pranzo. Ascoltavo George Michael che intonava Last Christmas.

Nevicava, lì a Worcester: i fiocchi bianchi cadevano dal cielo e si appoggiavano sulle strade. Le temperature erano rigide, ma tra le pareti di casa regnava il calore.

A farmi compagnia mentre ultimavo le portate era la voce allegra di mia sorella. Canticchiava nella stanza accanto, in coro con Lydia, la sua fidanzata. Mi sorrideva il cuore al pensiero che lei, finalmente, avesse trovato qualcuno che le restituisse tutto ciò che la vita le aveva sottratto.

Vivere quella relazione, per le due, non era semplicissimo. Le persone tendevano a storcere il naso dinanzi alla coppia, relegando alla sfera privata anche la più insignificante delle effusioni.

Ava era innamorata della casa che avevamo comprato in seguito alla vendita del poligono e di quasi tutte le armi - quasi, perché la carabina che portava il mio nome inciso sul calcio era rimasta con me, sorretta da due ganci affissi alla parete del salotto, a ricordarmi di un periodo che ormai apparteneva al passato. Non avrebbe avuto alcun senso continuare con quell'attività: era la mia vocazione, ma perseguirla era diventato impossibile. Così avevamo ceduto la struttura e l'attrezzatura, racimolando un quantitativo di denaro che ci permettesse di trasferirci in un appartamento più facilmente accessibile.

Mi risvegliai dal coma dopo qualche settimana, forse un mese, e riprendermi dall'incidente fu difficile. La fisioterapia era stata d'aiuto per gli arti non paralizzati, ma la paraplegia mi aveva portato via fin troppe opportunità, rimpiazzandole con nuove insicurezze. Ma, ciononostante, sapevo di essere felice con quello che avevo. Con ciò che mi era rimasto.

Potevo dire di avere una famiglia unita come quella che avevo sognato di ritrovare dopo la morte di mamma. Una sorella che mi voleva bene e che finalmente sorrideva, e una persona che sostituiva le mie debolezze con fonti di forza sconosciute. Nel nulla che quell'episodio mi aveva lasciato, avevo tutto.

Ero riuscito persino ad abbandonare l'alcol, il mio veleno più deleterio. Con un sostegno economico da parte di Lydia e della sua famiglia, avevo trascorso un periodo in una comunità di recupero dalle dipendenze. Ero uscito vincitore anche da quel brutto vizio.

Interruppi il mio flusso di pensieri quando il cucchiaio mi cadde per errore nella teglia metallica, tintinnando. Stavo riempiendo una serie di pirottini con il composto per i cupcake, ma finii per sporcare anche il tavolo per colpa di un tremore improvviso. Quello era uno degli scompensi di avere un corpo quasi del tutto rovinato.

La quiete fu ulteriormente disturbata da un abbaio repentino che sovrastò il motivetto festivo. Sentii dei saltelli sul pavimento della cucina, dei piccoli passi che mi raggiunsero, e io accennai un sorriso alla vista di Bella, che si alzò sulle zampette posteriori per farsi coccolare. Le carezzai la testolina.

Quella cucciola di Golden Retriever era stata un regalo di Ava dopo la dimissione dall'ospedale. La cagnolina aveva appena quattro mesi, e mi teneva compagnia soprattutto quando mia sorella lavorava allo Skylite. Per sua fortuna, aveva trovato un posto come allenatrice di pattinaggio per i bambini più piccoli.

Non feci in tempo a coccolare quella bestiolina, però, che lei scappò via. Udì lo scricchiolio della porta d'ingresso, i saluti lieti di qualcuno che era appena stato accolto nell'appartamento. Dalla voce dolce e gioiosa, capii subito di chi si trattava. Afferrai delle domande, il rumore di ipotetici pacchi regalo lasciati sul parquet, poi dei passi che si avvicinarono alla cucina. Qualche secondo per girare la sedia e vidi Rylee intenta a corrermi incontro. Stretto tra le dita, aveva un sacchetto di carta dal contenuto pesante.

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