Capitolo 32

681 34 54
                                    

Rylee

L'intera palazzina era silenziosa, l'umidità scorreva tra le pareti dei pianerottoli e l'afa soffocava me e Ava mentre ci accingevamo a salire ogni singolo gradino, dirette al terzo e ultimo piano.

Una tal quiete ci accompagnò anche quando la mia amica, giunta davanti alla porta dell'appartamento che condivideva con il fratello – e in cui ero già stata, quell'indimenticabile giorno di pioggia –, ne fece scattare la serratura.

Il quadrilocale pareva desolato, privo di una qualsiasi presenza umana. La cucina annessa al salotto era indorata dai raggi del sole, insistenti e caldi al contempo, e le uniche porte aperte sul perimetro della stanza erano quelle del bagno e della camera da letto di Ava.

Blake non era lì, ma forse era rintanato dietro uno degli usci serrati. La desolazione era tuttavia inquietante, e la ragazza entrata prima di me nell'appartamento assunse un'espressione corrucciata, forse preoccupata nell'udire quella tranquillità che non apprezzava.

«Senti» sospirò, liberando la tensione accumulata in uno sbuffo d'aria. «Probabilmente Blake è nella sua stanza», proseguì indicandone la porta, facendo aleggiare un dito. «Io ho bisogno di farmi una doccia e poi andrò al lavoro, puoi pensarci tu?»

Era sfinita. La sua voce tremolava quando parlava, scossa dalla prostrazione, e non la biasimai per aver avuto bisogno del giusto tempo da dedicare a se stessa.

Si passò una mano tra i capelli, frustrata. Strizzò le palpebre, strinse le labbra, e tentò di placare il nervosismo e l'agitazione attraverso un respiro profondo.

Quindi annuii, acconsentendo alla sua richiesta. Dinanzi ai suoi occhi spenti, appena arrossati, una negazione sarebbe stata solo un'ulteriore pugnalata.

«Riposati un po'» le consigliai, iniziando a marciare verso la porta della stanza di Blake. I passi erano pesanti come se avessi avuto i piedi incollati saldamente al pavimento che scricchiolava; risultò faticoso anche alzare un palmo per chiudere le dita a pugno e prepararmi a bussare.

Lei mi liquidò con un mero cenno del capo, prima di sparire oltre il confine del bagno e chiudersi l'uscio alle spalle.

Io tentennai, prima di palesare la mia presenza a Blake. Non sapevo se stesse dormendo o meno, e la voglia di disturbarlo era inesistente, soprattutto dopo il ritorno inaspettato di Nora.

Poi, però, mi arresi, e le mie dita scivolarono dal legno della porta al metallo fresco della maniglia. Se era doveroso affrontarlo, avrei dovuto farlo senza troppe premesse o senza perdere tempo.

Finalmente ebbi la forza di spalancarla, di aprirmi un varco metaforico che mi concedesse di accorciare la tangibile distanza che separava me e Blake.

Lui era lì, seduto alla sua scrivania. I gomiti puntellati sulla superficie di quest'ultima e la testa sorretta dalle mani, chiuse sul suo viso. Stanchezza? Paura? Non ne ebbi la più pallida idea. La mia mente era annebbiata e l'unico modo di schiarirmi le idee fu chiudere le palpebre, contare qualche secondo e riaprirle per fronteggiarlo.

«Ciao» mormorai, e mi chiusi la porta alle spalle. Era così immobile che a stento capii se fosse appisolato o semplicemente muto, ma poi voltò il capo nella mia direzione.

Quella vista mi lacerò. Il verde delle sue iridi scarseggiava della sua solita preziosità, le occhiaie erano scure e profonde. Forse non aveva dormito, e lo sfinimento gli campeggiava sul volto come un rivestimento creato su misura per lui.

«Rylee» esalò, per poi zittirsi. Mi scrutò ancora per qualche istante, poi sfruttò la forza delle braccia per alzarsi dalla sedia e mettersi in piedi. «Rylee, cazzo, stai bene...» metabolizzò. Parole che furono accompagnate dai suoi passi, mossi nella mia direzione, ampi e lesti.

SEMICOLONWhere stories live. Discover now