II.2) Un brutto sogno II

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Fu in un freddo pomeriggio di marzo, all'uscita da scuola, che Michele fu costretto a crescere prima dei suoi coetanei.

Stava aspettando il pullman che l'avrebbe riaccompagnato a casa, e come ogni giorno cercava di tenersi il più lontano possibile da Rocco e Gianvito, i due bulletti della classe che non perdevano occasione per fargli qualche dispetto. In quel momento erano concentrati a parlottare tra loro, intenti forse ad escogitare qualche marachella, quindi decise che avrebbe potuto rilassarsi. Dopotutto, aveva ben altro a cui pensare.

Le sue perplessità sulla scuola si erano rivelate fondate. Il saper già leggere gli procurava parecchi complimenti da parte della maestra, ma avere a che fare con quei mocciosetti viziati dei suoi compagni si era rivelato un compito troppo difficile.

Ricordava fin troppo bene quel giorno prima delle vacanze di Natale, quando nonno Giovanni era piombato furibondo nell'ufficio del preside, convocato dopo che lui aveva fatto un occhio nero a un compagno colpevole di averlo chiamato "scimmia bastarda". Dopo quell'avvenimento sua madre avrebbe voluto riportarselo a casa, ma il rapido peggioramento del suo stato di salute le aveva impedito di occuparsene.

Si accorse solo in quel momento che le sue mani stavano tremando. Pensare alla mamma lo aveva gettato nello sconforto; nelle ultime settimane era stata così lontana, sempre costretta a letto, e quella mattina non era riuscita nemmeno ad alzarsi per salutarlo. Lo sguardo che gli aveva rivolto quando era uscito di casa non prometteva nulla di buono, e quell'uomo inquietante che l'aveva visitata qualche sera prima, un signore con occhi di ghiaccio che Michele era sicuro di aver già visto, non aveva detto nulla di rassicurante.

Era ancora assorto in certi pensieri, quando d'improvviso sentì una fitta nella parte bassa del cranio, accompagnata dalla sgradevole sensazione di essere osservato. Non era la prima volta che gli accadeva, e d'istinto si guardò intorno.

A qualche metro da lui, acquattata dietro un cespuglio nel giardino della scuola, vide una strana bambina che lo fissava sorridendo, mentre con l'indice della manina gli faceva cenno di avvicinarsi.

Era davvero una bimba particolare: gli zigomi pronunciati, le pieghe sottili sulle guance e il nasino all'insù le conferivano una fisionomia quasi felina. Aveva stupendi boccoli ramati, la carnagione color nocciola e occhi dalle pupille verticali, con l'iride arancione che risaltava sul viso lentigginoso. Come se il suo aspetto non fosse abbastanza singolare, portava degli abiti pittoreschi, una specie di sottana di pizzo bianco che sembrava presa da quelle soap opere che guardava la nonna.

Per quanto confuso, Michele si ritrovò a pensare che fosse davvero carina: era diversa da tutti gli altri bambini del posto, e questo, in qualche modo, la rendeva molto simile a lui. Senza nemmeno accorgersene, si alzò e prese a camminare verso di lei, con passo sognante.

Si guardò intorno più volte, ma nessuno sembrava rendersi conto dell'estranea. Non vide Rocco e Gianvito che sghignazzavano per la sua espressione inebetita, e per poco non si lasciò investire dal pullman che aveva appena raggiunto la fermata; avanzò come una falena verso le fiamme, preda di una curiosità che si faceva man mano più irresistibile.

Prima che potesse raggiungerla, la bimba-gatta si volse e prese a trotterellare verso la parte più esterna del giardino, voltandosi di tanto in tanto per fargli cenno di raggiungerlo.

Michele rimase fermo sul posto: quella zona del parco, che s'affacciava sul boschetto al limitare del paese, era proibita agli alunni. La recinzione malridotta non impediva ad una persona di bassa statura di passarci sotto e avventurarsi per la boscaglia, una cosa di cui i genitori degli studenti si erano sempre lamentati, ma a cui nessuno aveva mai provveduto. La sua curiosità infantile ebbe però il sopravvento. Cosa mai poteva accadere? Aveva passato gran parte dell'infanzia a rotolarsi nel fango, o a dividere le galline che si azzuffavano nel pollaio del nonno: una breve scampagnata nei boschi non poteva certo fargli paura, e in ogni caso c'era anche quella bambina con lui... Non voleva certo fare la figura del fifone!

Vincendo i suoi timori, e del tutto dimentico del pullman, Michele passò sotto la recinzione, avventurandosi di buona lena nel boschetto.

Corse per diversi minuti, incurante dei rovi che gli si impigliavano nei jeans. La bambina lo precedeva di qualche metro: non riusciva a vederla bene per via della poca luce, ma lo svolazzare di quel vestitino tutto pizzo e merletti era inconfondibile. Passò in mezzo a querce e castagni, scavalcò tronchi coperti di muschio e bassi cespugli di more selvatiche. I suoi polmoni invocavano pietà, e le ginocchia gli dolevano come mai in vita sua, quando infine si fermò al centro di una piccola radura.

Lo svolazzare del pizzo e dei merletti era scomparso da un po', ma lui se ne rese conto solo in quel momento. Si concesse qualche secondo per riprendere fiato, portò le mani ad imbuto davanti alla bocca e urlò più forte che poteva.

‹‹Ehi! Dove sei?››

L'eco della sua voce frusciò nel silenzio della foresta. Cercò di chiamarla di nuovo, più e più volte, e quando infine si arrese capì di essere del tutto solo.

Cosa stava succedendo? Perché quella bambina si prendeva gioco di lui?

‹‹Guarda che non è divertente!››

Tentando di non far caso al tremolio delle sue ginocchia, Michele si guardò intorno.

In quel punto la bassa vegetazione era pressoché inesistente, e gli alberi che aveva visto fino a quel momento parevano ritrarsi, così da formare un piccolo spiazzo; al centro esatto della radura troneggiava un unico, grandissimo albero, del tutto diverso da quelli che popolavano il resto del bosco. Sembrava un pesco, a giudicare dai fiori e dalla forma delle foglioline, ma aveva un tronco massiccio e una corteccia vecchia e nodosa, simile a quella di un ulivo secolare. Il suo aspetto maestoso, unito alla sua insolita collocazione, lo faceva sembrare il Re di tutta la foresta, il primo albero che aveva dato vita a tutto il resto.

D'istinto, Michele si appoggiò al fusto, prestando l'orecchio alla corteccia come a voler sentire il rumore della linfa che vi scorreva all'interno.

Senza neanche accorgersene, si lasciò scivolare con la schiena lungo il tronco, addormentandosi all'istante.

Figlio di un SognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora