III.2) Un castello in mezzo al mare II

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Il respiro di Theodor si fece ancor più lento, e la lucidità riprese il pieno controllo sulla mente.

Maria era morta, certo, ma questo non avrebbe interrotto la sua missione. Gli servivano informazioni, doveva pianificare le prossime mosse; e come sempre, le avrebbe trovate nella sua testa, nel luogo eterno cui apparteneva.

Si alzò dalla sedia, e camminando tra cocci e schegge di legno si diresse verso la stanza da letto. Azionò per prima cosa il giradischi che teneva in un angolo, e la versione orchestrale dell'Anello del Nibelungo risuonò nella stanza per un'ultima volta. Le prime note del Preludio fecero vibrare le pareti, ma quella sera non gli importava di svegliare l'intero palazzo; per quel che lo riguardava, quel vecchio impiccione del vicino poteva aver già chiamato la polizia.

Il piccolo Wolfgang venne a mettersi vicino al letto, fissandolo con quei suoi occhi d'un nero acquoso. Gli dispiaceva un po' per lui, ma d'altronde non aveva scelta...

"La Camera Bianca è l'unico posto in cui troverò delle risposte" pensò mentre si infilava sotto le coperte, preparandosi a uno dei suoi viaggi notturni.

"La Camera Bianca è l'unico posto in cui troverò delle risposte" pensò mentre si infilava sotto le coperte, preparandosi a uno dei suoi viaggi notturni

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Percorreva adesso un lungo corridoio. Le torce ai suoi lati si spegnevano man mano che le oltrepassava, lasciando solo il buio alle sue spalle, come a riflettere la tristezza dei suoi pensieri.

Il luogo in cui si trovava era antico e segreto, protetto da regole che erano state formulate quando le prime anime avevano iniziato a svegliarsi. Cambiava forma ogni volta che vi entrava, plasmandosi a seconda di cosa il suo subconscio volesse comunicargli. A volte era una semplice villetta di campagna, altre una casetta a ridosso del mare, o un grattacielo troneggiante su una megalopoli che s'estendeva a perdita d'occhio. Nessuno aveva mai perso tempo a dargli un nome: per quelli come lui era solo un guscio, una protezione per la Camera Bianca, il vero segreto della sua setta.

Quella notte, a quanto pareva, si sentiva troppo triste. La sede della sua antica confraternita aveva preso la forma di un massiccio castello gotico, abbarbicato su un isolotto in mezzo al mare, la cui torre centrale si innalzava fino a lambire le nuvole. Onde spaventose si abbattevano su quello scoglio isolato, violando il silenzio dei suoi pensieri. Sapeva che ciò era dovuto alla sua agitazione, così come sapeva che, se l'avesse visto da fuori, il castello avrebbe avuto una forma ben distinguibile: un unico blocco di granito, regolare e preciso, da cui si diramavano mille torrette e stanze segrete, come qualsiasi cosa che scaturiva dalla sua mente.

Conosceva le leggi che plasmavano l'architettura di quel luogo: era tramite l'ascensione, l'allontanamento dal piano terreno, che si giungeva alla verità. E la sua meta, quella sera, era in cima alla torre più alta.

Mentre saliva la scalinata a testa bassa, il buio che s'infittiva man mano che le torce alle sue spalle si spegnevano, pensò a quanto antiche e inutili fossero tutte quelle regole. Nel tentativo di proteggere il loro status elitario, i Saggi Sognatori s'erano distaccati dal mondo reale; col tempo quel luogo, dove per secoli s'erano decisi i destini dell'intera razza umana, era diventato nient'altro che un ricordo condiviso da pochi immortali.

Ma se Maria fosse vissuta secoli prima, nell'epoca d'oro della confraternita, forse si sarebbe potuta salvare...

Tanto era assorto nelle sue congetture, che ci mise un po' ad accorgersi che le torce alle sue spalle s'erano tutte spente. Alzò lo sguardo, e gli si parò dinanzi un portone di ferro, maestoso e intarsiato come quello di una cattedrale gotica. Esitò per un istante, prima di picchiare due volte sul batacchio, come da prassi.

‹‹Entra pure, o Uomo di Ghiaccio!›› ordinò una voce dietro l'uscio.

Odiava il soprannome affibbiatogli nella confraternita. Tolto dall'ambiente a esso congeniale, pensava, il ghiaccio si scioglie in fretta, lasciandosi dietro solo una chiazza d'acqua; lui era di ben altra pasta, ma in quel frangente non aveva la forza per discutere d'antroponomastica.

La porta si aprì verso l'interno, e lui fu investito dalla solita luce bianca, tanto accecante da impedirgli la vista. Ma non aveva più bisogno dell'ausilio dei sensi, perché sapeva che la Camera Bianca era sempre la stessa, qualsiasi fosse l'aspetto preso dalla magione che la conteneva: una grande stanza circolare, decorata d'oro in ogni sua componente, dalla pavimentazione alle file di scranni disposti a semicerchio, fino all'alto soffitto a volta.

Fermo sulla soglia, cercò di avvertire le auree dei confratelli. Solo chi aveva la facoltà di usare l'occhio interiore, oltrepassando i normali limiti della vista umana, doveva avere accesso ai segreti dell'antico ordine dei Saggi Sognatori. Se qualche comune viaggiatore onirico, portato lì da un sogno curioso o da uno scherzo del suo subconscio, fosse mai riuscito ad accedervi, avrebbe visto null'altro che le loro auree abbaglianti, macchie indistinte di bianco disperse in uno sfondo dorato, la stessa luce che in quella dimensione circondava anche il suo corpo.

La Camera Bianca, a differenza sua, portava un nome che le si addiceva appieno.

Il vecchio onironauta sospirò sconfortato, e dopo pochi passi, quando la luce magica dell'ingresso si affievolì, fece i conti con la triste realtà dei giorni presenti. Nella stanza c'erano solo due figure, le cui auree riuscivano a malapena a rischiarare l'ambiente. La Camera Bianca aveva ormai perso l'aspetto che Theodor ricordava: la semplice vista bastava ormai a riconoscere i presenti, e in ogni caso lui sapeva fin troppo bene di chi si trattasse.

I suoi occhi si posarono al centro dell'aureo parlamento, dove c'era lo scranno più grande e maestoso degli altri, simile ad un piccolo trono. Quello era il posto di Zuqiqu, il più potente tra i membri del suo ordine, e non fu sorpreso nel constatare che il seggio fosse vuoto.

‹‹Ti aspettavamo, Theodor››.

Il vecchio imperatore, che lo fissava dalla terza fila di scranni alla sua sinistra, parlò con voce fremente. Theodor rimase fermo al centro della stanza, spostando lo sguardo tra lui e lo schiavo vestito di stracci che sedeva poco sopra: due uomini vissuti millenni prima, con le stesse sembianze e la stessa anima, anche se il loro percorso nel mondo terreno era stato così diverso. Una storia che conosceva fin troppo bene, e di cui faceva parte anche lui.

‹‹Perdonatemi l'attesa, fratelli miei... Ho avuto un contrattempo, se così si può dire››.

Avvertì la risata soffocata dello schiavo sopra la sua testa, ma non si vergognò. A loro due, anche volendolo, non avrebbe potuto nascondere nulla.

‹‹Dunque è successo davvero?›› chiese l'imperatore. Non era una vera domanda, lo sapeva bene.

‹‹Non sono riuscito a prevederlo, o forse una parte di me non ha voluto accettare l'evidenza›› ammise con un fil di voce.

‹‹In ogni caso, temo che avremmo potuto fare ben poco per salvarla... Mi resta solo una cosa da fare: abbandonare il mio corpo e tornare a vivere nei sogni, per proteggere il Miracolo finché non sarà abbastanza grande da conoscere la verità››.

I due spiriti gemelli restarono in silenzio, scambiandosi occhiate fugaci. Era un comportamento insolito da parte loro, e Theodor, nonostante i mille pensieri che lo tormentavano, non poté non notarlo.

La luce tutt'intorno si affievolì con gli ultimi echi delle sue parole, e sulla sede della confraternita cadde un buio stregato. Theodor capì all'istante cosa stesse accadendo, e alzò subito lo sguardo verso il soffitto, dove la magia del regno onirico stava proiettando l'immagine di una notte stellata.

‹‹Possiamo mostrarti il futuro, se lo desideri... Ma sai già quanto ti costerà››.

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