XV.2) L'ora del risveglio II

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Gli ci erano volute ore per trovare le forze di alzarsi dal letto, e quando, verso l'alba, era riuscito ad affacciarsi in salotto, aveva scoperto che quell'immagine vista al suo risveglio non era stata un'allucinazione.

No, l'uomo seduto a tavola era proprio Theodor!

Quando era riemerso dall'incubo, quel volto intagliato da uno scalpellatore monco aveva riempito la sua visuale. S'era ritrovato a divincolarsi tra le sue braccia, e poi steso sul letto, d'improvviso calmo e rilassato, mentre lui gli sussurrava un qualche sortilegio.

"Non preoccuparti, ragazzo" gli aveva ripetuto più e più volte, "non preoccuparti, è tutto finito... Sei stato così bravo, così coraggioso..."

Ritrovarselo davanti in carne ed ossa, dopo averlo conosciuto in sogno, fu così strano per lui; la sua mente dilaniata registrò quell'informazione, che finì nella pila di pratiche da sbrigare tra le domande che lo tormentavano.

‹‹I nonni sono in ospedale, ragazzo...›› La voce di Theodor lo riportò alla realtà. ‹‹Siediti, ti prego, ti racconterò tutto.››

Con passi caracollanti Michele si avvicinò a lui, e continuò a fissarlo mentre prendeva posto a capotavola.

‹‹Äh... Innanzitutto, c-come ti senti?›› balbettò Theodor, in evidente imbarazzo.

Solo di fronte a quel tremolio incerto nella voce, che aveva imparato a riconoscere nei loro sogni condivisi, Michele capì che lui era davvero lì.

Aveva pensato fosse un'illusione, qualcosa creato dal suo cervello per tamponare le ferite. Per quanto sapesse di essere sveglio, in lui era nata la certezza che, da quel momento in poi, tutto sarebbe cambiato, che la differenza tra sonno e veglia si sarebbe assottigliata. Il demone sopito s'era levato, aveva attecchito nella sua mente, come un virus oscuro di cui s'era infettato nell'incubo.

Se si fosse tagliato in quel momento, pensò, dalla ferita sarebbe con ogni probabilità sgorgato sangue nero...

‹‹Come vuole che mi senta›› fu tutto quello che riuscì a dire.

Tra loro calò un silenzio teso, pregno di risposte non date. Fu Theodor a prendere l'iniziativa, e mentre lui lo fissava senza fiatare gli raccontò per filo e per segno tutto ciò che era successo.

Era piombato in casa pochi secondi dopo l'attacco cardiaco di nonno Giovanni. Erano stati minuti concitati, nei quali il vecchio, tra le grida disperate di sua moglie, si era contorto al suolo, gli occhi ribaltati e assenti, il fuoco della vita che si spegneva nel suo petto; quando infine era riemerso dal mondo dei morti, dopo essersi guardato intorno per un secondo, s'era subito voltato verso la nonna.

"Il ragazzo, Rosa!" le aveva biascicato contro. "Non chiedermi perché, ma Michele è in pericolo!"

Si era precipitato in camera sua, e aveva trovato anche lui sul pavimento, con la bava alla bocca, a dimenarsi come un indemoniato. Addormentarsi in quel momento, lì accanto, era stato davvero complicato, e in ogni caso era giunto troppo tardi.

‹‹Devo dire, ragazzo mio, che hai avuto del fegato!››

Quella nota insolita, di sincera ammirazione, nel tono della sua voce lo stupì, ma non riuscì a togliergli un pensiero dalla testa: il nonno aveva rischiato di morire per colpa sua, come era già successo alla mamma... Si sentiva sporco, viscido, come quella mostruosità che gli aveva strappato dal petto. Era anche quello uno stupido scherzo della sua mente?

"Credo di star diventando pazzo..."

Lo disse dentro di sé, ma nel farlo guardò Theodor dritto negli occhi. Non sapeva come, o perché, ma qualcosa gli diceva che lui era in grado di leggergli nei pensieri.

Non s'era sbagliato: se ne accorse dal modo in cui l'uomo sgranò gli occhi, dal dilatarsi delle narici che smosse il baffo incolto. In quegli occhi millenari, che avevano visto i segreti della vita, scorse un bagliore stupefatto, e non solo: nel fondo delle sue pupille, lì dove c'è solo il nero ed alberga la paura, vide che v'era qualcos'altro...

"Cos'hai visto laggiù, Michele?"

La voce spaventata di Theodor giunse ad interrompere i suoi pensieri. Fu come se avesse impartito un ordine al suo cervello: in pochi secondi ripercorse ad occhi aperti tutto ciò che aveva vissuto nell'incubo, l'infinito sacrificio della sua anima in quella spirale di morte, le cui immagini si incastravano nella sua mente come pezzi di un macabro mosaico. E poi quel che era successo alla fine, quando i colori erano scomparsi e l'oscurità aveva preso forma solida...

Solo in quel momento, stringendo i pugni, riuscì ad interrompere il contatto visivo. Il ricordò svanì, ma non il suo terrore, che già gli riempiva gli occhi di lacrime.

‹‹Cosa vuol dire tutto ciò? Quello è mio padre, vero?››

Sentì Theodor muoversi, venire verso di lui, e avvertì la sua mano sospesa a mezz'altezza, come se fosse indeciso se posargliela o meno sulla spalla.

‹‹Äh, non sarò io a darti le risposte›› mormorò. ‹‹Forze a me superiori si sono messe in moto, e il vecchio Theodor Von Raumzeit non può altro che fare supposizioni...››

‹‹E allora chi? Chi se non lei?››

A quella domanda, lo sguardo di Theodor parve farsi ancor più malinconico. Si chinò verso di lui, e pur se usò la voce, il suo sguardo gli penetrò sin nel profondo dell'anima.

‹‹Dimmi solo una cosa, ragazzo: come sei uscito di lì?››

Il ticchettio del mondo intorno a lui parve rallentare. Quel terrore che, al solo ricordare il drago, l'aveva pervaso parve espandersi, corrodergli il cuore, sin quando quella voce di donna udita in sogno risuonò di nuovo nella sua testa...

Abbassò gli occhi, incapace di reggere il confronto. Sarebbe stato più facile, pensò, lasciare che lui gli leggesse nella mente, ma al momento non aveva le forze per compiere una scelta razionale.

‹‹C'è stata un'esplosione...›› sussurrò in un fiato, ‹‹E p-poi ho... Ho v-visto lei...››

Le sue parole furono seguite dal silenzio, poi, fra tutte le cose, accadde ciò che mai si sarebbe aspettato: accanto a lui, Theodor scoppiò in lacrime. Un pianto liberatorio, come se un peso enorme si fosse appena sganciato dal suo cuore, come se finalmente, dopo tanto tempo, uno dei suoi piani si fosse realizzato.

Quando infine l'uomo si asciugò anche l'ultima lacrima, Michele vide che un sorriso si era aperto nel suo volto.

Quel che nessuno dei due poteva sapere, perché mai avrebbero potuto sospettarlo, era che tutto ciò che stava accadendo in quella stanza era frutto del piano di creature più potenti di loro. In quel momento persino Theodor, convinto più che mai su cosa fare, non era altro che una marionetta, manovrata in segreto dalla mano del Re dei Dannati.

L'Uomo di Ghiaccio si spostò verso la porta d'ingresso. Tremava, eppure in quel momento si sentiva solido come una roccia.

‹‹Vieni con me, ragazzo. C'è una cosa che devi vedere...››

Figlio di un SognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora