XIV.2) Perso nell'incubo II

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Mentre cercava di trovare una spiegazione, Michele sentì che il suo corpo prendeva di nuovo forma e consistenza.

Quantomeno, sembrava che stavolta fosse tornato sul pianeta Terra: attorno a sé, in un'oscurità quasi completa, vide decine di figure umane, dal volto coperto di fuliggine, che in fila indiana scendevano lungo una galleria sotterranea. Tutti erano armati di piccone, e alcuni portavano delle grosse fiaccole.

La comitiva di minatori procedeva a passo lento, inoltrandosi sempre più nelle viscere della terra, finché non giunse ad una curva in cui la galleria si spalancava su di un'immensa grotta sotterranea. All'ordine di un superiore, le torce vennero spente; brancolando nel buio, gli uomini superarono un metal detector e si avviarono verso le rispettive postazioni di scavo.

Michele seguì il compagno che lo precedeva, e quando questi si fermò prese posto alla sua destra: l'uomo cominciò a percuotere la roccia davanti a lui col piccone, e sottili venature aurifere venivano rivelate dai suoi colpi.

Non provò nemmeno ad imitarlo, ma rimase a guardarsi attorno, fiutando la morte incombente: e infatti, prima di quando si sarebbe aspettato, una violenta esplosione giunse da molto vicino. Qualcuno doveva aver scavato troppo a fondo, rivelando una fuga di gas che in breve s'era trasformata in fuoco e distruzione.

Massi luccicanti d'oro, grandi come il suo appartamento, iniziarono a cadere sulle loro teste. I minatori abbandonarono le loro postazioni tra urla belluine, accalcandosi e calpestandosi a vicenda verso la strettoia da cui erano venuti; ma Michele rimase immobile, ormai consapevole delle regole del gioco. Trasse lunghi respiri di rassegnazione e si lasciò cadere a terra, con la schiena contro la pietra e l'intera caverna che gli crollava addosso.

Mentre lo spirito abbandonava ancora una volta quel corpo esanime, ebbe un sussulto d'orgoglio: più che il dolore o l'angoscia derivata da tutte quelle morti, fu la frustrazione a muoverlo. Cercò di opporsi a quella forza nell'aria, che lo sballottava verso nuovi tormenti in quel turbinare accecante di colori; sbracciò e scalciò con la disperazione di un condannato a morte, lottando contro un nemico che forse non esisteva nemmeno, perché in quel momento il suo più grande nemico era dentro di lui.

I suoi occhi misero a fuoco il volto della ragazza-gatta. Forse era un miraggio, o forse lei era davvero rimasta accanto a lui per tutto quel tempo; quale che fosse la risposta, lui non aveva le forze per contrastarla.

‹‹Non deludermi, Miracolo!›› squillò la sua voce. ‹‹Mostrami chi sei!››

Scomparve così com'era arrivata, e Michele sentì di nuovo quella forza nell'aria diminuire d'intensità, facendolo volteggiare in brevi spirali verso un nuovo incubo.

Mostrami la tua forza? Ma cosa pretendeva da lui? Al momento non ne aveva nemmeno per aprire gli occhi!

Continuò a lasciarsi trasportare, aspettando un impatto col suolo che non venne mai. Quando decise di riprendere il controllo, si scoprì a galleggiare in un luogo immerso nella più completa oscurità: a giudicare dal freddo, doveva trovarsi in qualche luogo inesplorato delle profondità marine.

Davanti a lui, nel buio abissale, vide tremolare una luce che prese come punto di riferimento. Non aveva voglia di pensare, né sentiva la necessità di cercare un modo per evitare la morte... L'essere il cui corpo stava abitando, con ogni probabilità, era qualche insignificante, viscido pesciolino delle profondità marine, una di quelle creature il cui unico scopo di vita è fungere da preda per creature più sviluppate di loro. Sentì di non avere nemmeno abbastanza neuroni per pensare, e tutta la sua attenzione si rivolse verso quella luce solitaria che diventava sempre più vicina.

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