VII.2) La prigione di fango II

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Quando richiamò le ancelle, si sentiva molto più rilassata.

Le ragazze la aiutarono ad asciugarsi, le cosparsero il corpo ed i capelli di essenze profumate e le portarono una veste pulita.

‹‹Come sei bella oggi, Ahk'Ashëla›› azzardò una delle più giovani, poco più che una bambina, mentre le allacciava al polso un serpentello d'oro.

La fulminò con lo sguardo, come a voler punire la sua insolenza.

‹‹Non lo ero forse anche ieri?››

La bambina si prodigò a biascicare delle scuse, ma lei, senza nascondere il suo compiacimento, la zittì con un gesto seccato.

‹‹Ora lasciatemi, e dite pure a Yshag che lo attendo.››

Il gruppo di ancelle lasciò la stanza in silenzio, non dopo averle rivolto profondi inchini: rimase a guardarle alla finestra, mentre scendevano a piccoli passi la scalinata che riportava giù al villaggio. In fondo ad essa, il Gran Sacerdote attendeva impaziente: quando le ragazze gli furono passate davanti, si avviò su per gli scaloni intagliati nel fango, seguito da uno dei suoi zelanti inservienti, la pelliccia di leopardo sulle spalle che svolazzava al vento.

Tormentare le ancelle era stato un passatempo divertente, ma l'imminente arrivo del gran sacerdote le imponeva la necessità di darsi ben altro contegno: cercò di assumere un'espressione che meglio s'addicesse al suo rango di Ahk'Ashela, e si sedette sul soffice giaciglio di piume di pavone, adagiandovi con cura la lucente cascata dei suoi capelli.

Yshag bussò due volte, e senza attendere risposta spalancò la porta.

‹‹Ti sei fatta attendere, mia signora.››

La ragazza omaggiò il suo ospite con un breve cenno del capo, come da consuetudine.

‹‹Perdona il mio ritardo... O per meglio dire, perdona quelle quattro scansafatiche delle mie ancelle!››

Il gran sacerdote Yshag sorrise, e la rimbrottò con quello che secondo lui era un tono bonario.

‹‹Mia cara Ahk'Ashëla, a volte sei troppo dura con le tue serve.›› Si voltò, prese la coppa fumante che l'inserviente teneva tra le mani, e senza troppi complimenti gli chiuse la porta in faccia con un calcio.

‹‹Allora, quali sono le novità?›› le domandò quando furono soli.

Lei lo guardò confusa: si sarebbe aspettata ulteriori convenevoli, ma il Gran Sacerdote pareva voler andare dritto al sodo. C'era da aspettarselo, in fondo.

‹‹Nessuna novità, m-mio signore. Tutto procede secondo i piani: il Miracolo ha appena avuto un assaggio di come funziona il nostro mondo››.

Il gran sacerdote parve compiaciuto.

‹‹Era anche ora! Troppo a lungo abbiamo atteso i comodi di quel ragazzino viziato!››

Si diresse a piccoli passi verso il tavolino al lato del suo letto, e con la solita premura vi pose al centro la coppa dell'ayahuasca, senza versarne neanche una goccia. Quando rialzò lo sguardo, notò che la giovane era rimasta a fissarlo per tutto il tempo.

‹‹Ora dimmi, come ha reagito quando ha rivisto sua madre?››

L'Ahk'Ashëla esitò per un secondo, le dita che tormentavano una ciocca di capelli con gesti nervosi; sapeva che non avrebbe potuto mentirgli, ma temeva la sua reazione.

‹‹I-in realtà, mio signore, non l'ha ancora vista.››

L'espressione sul volto dell'uomo mutò di colpo; incrociò le braccia al petto, senza staccare gli occhi da lei per un solo istante.

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