III.1) Un castello in mezzo al mare I

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"Miseriaccia, ma cos'è questo baccano?" pensò il signor Braccini svegliandosi di soprassalto.

Era notte fonda, e il vecchio dormiva da un pezzo. Affacciatosi sul pianerottolo, si trovò di fronte il viso rugoso della signora Franca, la dirimpettaia, con ancora i bigodini in testa e una brutta vestaglia da notte indosso.

‹‹Mi sa che è l'interno 13›› bisbigliò l'anziana.

Braccini la fissò confuso. Da qualche anno l'appartamento accanto al suo era occupato da uno scapolo, che stava quasi sempre chiuso in casa. In tutto quel tempo l'aveva visto sì e no un paio di volte: a malapena salutava quando si incrociavano per le scale, e l'unico rumore proveniente dalla casa, oltre alla musica classica, era lo sporadico abbaiare del suo cane. Impicciarsi in certe faccende era il suo passatempo preferito, e poteva dirsi certo che quel tale Theodor non avesse nemmeno mai fatto salire una donna.

Quello straniero tanto elusivo, che non aveva mai fatto cigolare il letto in orari di riposo, era stato una tremenda delusione!

Quella notte, però, stava succedendo qualcosa: urla, stoviglie scagliate contro i muri, e i guaiti spaventati del cane avevano svegliato tutto il palazzo. Il signor Braccini rientrò in casa, preoccupato ed euforico allo stesso tempo, e si affrettò a cercare il telefono della cucina per chiamare la Polizia.

 Il signor Braccini rientrò in casa, preoccupato ed euforico allo stesso tempo, e si affrettò a cercare il telefono della cucina per chiamare la Polizia

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"Perché, Maria? Perché non ti sei fidata di me?"

Theodor pensava queste e altre terribili cose, mentre lanciava l'ultimo piatto del servizio buono contro la parete della cucina. Cercò attorno a sé qualcos'altro contro cui sfogare la sua frustrazione, ma non trovando più niente nella devastazione dell'appartamento si lasciò cadere su di una sedia sventrata.

Era da una vita che non perdeva le staffe in quel modo. La morte di Maria aveva rotto qualcosa dentro di lui, mandando la sua razionalità in frantumi; così l'unica soluzione era stata fare a pezzi l'appartamento, nella speranza che la devastazione esterna potesse lenire quella della sua anima.

I presentimenti che covava da anni si erano trasformati in certezze nell'arco di pochi giorni, e anche mettendo a frutto tutte le sue conoscenze non era riuscito a far nulla. La realtà gli era piombata addosso come un uragano, devastando la sua anima in un modo che lui non avrebbe mai potuto prevedere.

Non era mai stato un uomo d'azione. Nelle situazioni più difficili aveva sempre preferito incassare i colpi, rimanendo il più possibile razionale, per avere il tempo di organizzare le contromosse. Ma in quel momento, circondato dal disastro della sua casa, si sentiva quanto mai lontano dall'essere razionale.

Chiuse gli occhi e riempì i polmoni d'aria con respiri profondi, cercando di rimandare alla mente quei vecchi esercizi di rilassamento.

Si lasciò trasportare dai pensieri, finché tra i tormenti della sua immaginazione vide sé stesso al centro di una palude. Circondato da una nebbia fitta, era immerso fino alle ginocchia in un acquitrino melmoso che gli impediva di muoversi, proprio come si sentiva in quel momento.

Immaginò quindi che quella nebbia si diradasse, seguendo il ritmo sempre più regolare del suo respiro, finché non vide il sole far capolino in cielo. Allo stesso modo immaginò l'acqua ai suoi piedi ritirarsi, come in una vasca a cui viene tolto il tappo. In breve fu in grado di fare un passo in avanti, e proprio in quel momento riaprì gli occhi, ritrovandosi in piedi.

L'esercizio aveva funzionato: i brutti pensieri che gli annebbiavano la mente si erano fatti da parte, e adesso poteva di nuovo vedere quale fosse la strada da percorrere.

Accarezzò dietro le orecchie Wolfgang, il bastardino che aveva adottato giusto un anno prima, che s'era affacciato in cucina con la coda tra le zampe. Il suo scodinzolare intimorito lo aiutò come sempre a farsi coraggio: perdere tempo a disperarsi, realizzò, non avrebbe reso onore alla memoria di Maria.

Qualcosa era sfuggito al suo controllo, all'ossessione morbosa di prevedere e schematizzare ogni cosa. Se n'era reso conto solo negli ultimi tempi, quando l'oscurità aveva avvolto il cuore della ragazza e lui era stato chiamato in tutta fretta al suo capezzale. Perché anche lei, in un modo che ancora doveva comprendere, aveva votato la sua esistenza a uno scopo che esigeva la sua stessa vita.

Aveva iniziato a provare qualcosa per lei, un sentimento irrazionale che aveva rifuggito per secoli. Il rispetto che provava per la sua scelta, il coraggio disperato che aveva visto in ogni sua azione, avevano finito col plasmare i suoi stessi sogni, facendo nascere in lui un bisogno profondo: il desiderio di salvarla, di poter passare ancora del tempo al fianco di una creatura tanto speciale.

Un sentimento cui solo allora era riuscito a dare un nome, con la parola più semplice e spaventosa che l'essere umano avesse mai inventato.

Rabbrividì al solo pensiero. Cosa gli era saltato in testa? Che speranze poteva avere di fronte a una donna come Maria Claps? Un vecchio orso come lui, che si vantava d'essersi votato alla castità assoluta per inseguire una vita di ricerca filosofica!

Vivere tanto a lungo nei sogni doveva avergli fatto perdere contatto con la realtà, qualcosa che la stessa Maria gli aveva più volte rimproverato.

Le sue parole parvero riecheggiare nella stanza, come se la sua mente necessitasse di sentire un'altra volta il suono della sua voce. "Proteggi il mio piccolo, e tutto ciò che mi accadrà non sarà stato vano".

Se davvero voleva onorare la sua memoria, quello era il suo compito, un dovere da adempiere con la devozione nobile e cieca di un samurai!

E lui, forse, sapeva cosa fare.

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