XI.2) Gli occhi del gatto II

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Pochi istanti dopo, stava osservando i suoi compagni intenti a completare il loro esame; questa volta, però, poteva vederli dall'altezza del soffitto. Guardò in basso e notò sé stesso, gli occhi chiusi e la testa tra le braccia, un sottile filo d'oro che gli passava sotto l'ascella e saliva ad unire il corpo fisico a quello etereo.

Non sapeva come, ma aveva funzionato!

Conscio del fatto che il tempo, in quella dimensione, fluisse ad una velocità differente, cercò di evitare in ogni modo di sprecarne: si diresse ad ampie bracciate verso Gastaldo, librandosi sopra i suoi ignari compagni come un rapace invisibile. Per sua fortuna, il collega stava lavorando proprio al terzo esercizio; Michele ebbe tutto il tempo di memorizzare il procedimento da lui svolto, recuperando in un angolo impolverato della mente le formule che gli servivano.

Col cuore che gli batteva all'impazzata, Michele si voltò in direzione del suo corpo, pronto a rientrarvi... E vide una cosa che gli fece accapponare la pelle.

Qualcuno, in fondo alla stanza, stava guardando verso di lui.

Sbatté più volte le palpebre, inebetito, come per accertarsi che quell'immagine non fosse solo frutto della sua immaginazione; ma no, quella ragazza in piedi in fondo all'aula era proprio reale!

Non si trattava di una compagna di corso, ne era certo, eppure ebbe la netta sensazione di averla già vista da qualche parte: aveva un'aria familiare, ma lì per lì non riusciva a comprendere il perché.

Di sicuro era una ragazza piuttosto strana: nonostante la distanza che li separava, Michele notò la folta chioma di boccoli ramati, il color nocciola della pelle e il suo bizzarro abito, una sorta di corpetto color acquamarina che si allargava in un'ampia gonna. Anche a quella distanza, poteva vedere la spessa aurea dorata che circondava il suo corpo.

Non riusciva a staccare gli occhi da quell'immagine. Senza pensare alle conseguenze, iniziò a muoversi verso di lei, superando senza vederlo il proprio corpo addormentato, finché non furono a pochi metri di distanza.

‹‹Non ti vergogni, Miracolo?››.

La ragazza non aveva nemmeno dischiuso le labbra; la sua voce era argentina e musicale, eppure nell'udirla Michele fu scosso da un brivido. Ora che era più vicino, riusciva a scorgere i dettagli del suo volto: l'ovale dai contorni gentili, un bel nasino all'insù, le sottili striature sulle guance simili alle vibrisse di un gatto. Fu però lo sguardo a catturare la sua attenzione: due grandi occhi arancioni dalle pupille verticali, che lo squadravano con aria di profondo sdegno...

Michele spalancò la bocca, esterrefatto.

‹‹T-tu?›› balbettò, tradendo la sua paura. ‹‹C-Cosa ci fai tu qui?››

Quella che un tempo era stata la bimba-gatta continuò a fissarlo con quegli ipnotici occhi arancioni, senza sbattere le palpebre.

"Sveglia!" Una voce esplose nella testa di Michele, ma lui non vi prestò attenzione, gli occhi fissi in quelli della ragazza che aveva stravolto la sua vita.

‹‹Intendi usare i tuoi poteri per una così futile faccenda? O Miracolo, dunque hai deciso di deludermi!››.

Michele rimase senza parole; sentì uno strappo brusco, come uno strattone, e la testa gli iniziò a girare così forte che gli si appannò la vista.

"Sveglia!" urlò di nuovo la voce nella sua testa, più forte di prima.

Cosa diamine gli stava succedendo? Perché, per una volta che riusciva ad utilizzare le facoltà oniriche a suo vantaggio, tutto gli si rivolgeva contro in quel modo?

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