V.2) Fantasmi dal passato II

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Attenzione: contiene linguaggio esplicito, uso di droghe.


La vita è ciò che progetti di fare quando non sei ubriaco.

Michele conosceva una frase simile, detta anni prima da qualcuno ben più famoso di lui, e l'aveva riformulata per descrivere il suo stile di vita in quel periodo. Per fortuna quel qualcuno era morto da un pezzo, e le sue ceneri sparse nell'Atlantico, così che il suo corpo non potesse rivoltarsi nella tomba nel sapere come lui ne avesse travisato le parole.

Ubriaco e fatto com'era, gli era sembrata una frase perfetta, ma a ben guardare non suonava davvero bene. Di certo, non c'entrava nulla tra gli appunti di macroeconomia, dove l'aveva scritta col pennarello nero. Chiuse il quaderno con uno sbuffo, trattenne un rutto e si guardò intorno, desolato da quel che la realtà gli parò innanzi.

Come sempre in vita sua, dinanzi ai problemi aveva scelto di chiudersi in sé stesso. Nell'ultima settimana aveva perso del tutto il controllo: non si levava dal letto prima delle due di pomeriggio, e passava le giornate a fumare erba, bere alcool del discount e giocare al computer sino a notte fonda. Non gli importava di distruggersi i neuroni con quello stile di vita scriteriato: quando si addormentava in quello stato, aveva più probabilità di sprofondare in un sonno senza sogni, che gli impediva di fare incubi strani.

L'elefante bianco aveva continuato a tormentarlo, e non solo: esseri mostruosi venivano sempre più spesso a violare le sue notti, graffiandolo e mordendogli la carne, e più cercava di svegliarsi più quelli lo tiravano a sé.

Tremò di paura al solo pensiero. Il fatto d'aver rivisto gli occhi di sua madre sembrava aver scoperchiato il vaso di Pandora, riportando in vita terrori infantili che sperava d'aver dimenticato. Non erano gli incubi in sé a spaventarlo: era sopravvissuto ad esperienze del genere per tutta l'infanzia, e avrebbe imparato a conviverci in assoluta tranquillità... Erano i graffi che si trovava sul corpo a terrorizzarlo!

Si sentì osservato, come se un qualche perverso guardone lo stesse spiando dalla serratura della porta. Si ritrovò a guardarsi attorno, quasi che s'aspettasse di trovare uno sconosciuto dentro la stanza. Forse era solo l'erba a renderlo paranoico, ma il ricordo di quanto accaduto quindici anni prima nel bosco della scuola gli impediva di rilassarsi.

Provò a togliersi certi pensieri dalla testa, ma ormai il suo cervello aveva preso a lavorare in autonomia. Perché doveva essere tutto così complicato? Lui voleva solo godersi la vita, scopare, ubriacarsi e non avere altro problema che non fosse sopravvivere fino al giorno dopo...

Quel che gli stava accadendo doveva essere il preludio di qualcosa di peggiore; e se l'unico modo per evitarlo era ammazzarsi di canne, avrebbe continuato ad arricchire quel pidocchioso del suo spacciatore, anche a costo di finire tutti i soldi che gli arrivavano da casa. Dopotutto, quello stronzo di nonno Giovanni si meritava ben di peggio!

In un gesto che era ormai diventato automatico, la sua mano scivolò nel cassetto della scrivania, cercando l'involucro di stagnola dove conservava l'unica medicina in grado di alleviare i suoi tormenti. Il cellulare squillò prima che potesse rollarsi l'ennesima canna della giornata.

‹‹Ehi pisellone, ma che fai? Non hai letto i messaggi sul gruppo?›› 

Giacomo sembrava eccitato, e non gli lasciò nemmeno il tempo di rispondere. ‹‹Niente storie, c'è l'opening del Goa stasera, ci vediamo qui da noi alle nove e mezza. Se ci dai buca, giuro che t'ammazzo!››

Resistendo alla forte tentazione di chiudergli la chiamata in faccia, Michele cercò di inventarsi una scusa.

‹‹E-Ehm, senti Jack... Io verrei volentieri a sfasciarmi con voi, ma sai, è t-tutto il giorno che studio Finanziaria, e ho... ho il c-cervello che mi scoppia!››

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