VI.2) Un ospite nella testa II

254 25 71
                                    

Un lampo di luce bianca esplose tutt'intorno, quando Theodor finì di parlare. Michele non ebbe nemmeno la forza di opporsi; catturato dal potere di quello sguardo, da quella mano artigliata alla sua spalla, si sentì sollevare da forze misteriose.

Il candore della luce sfumò nell'oro e nell'arancio, e dinanzi a lui si andarono disegnando forme e figure indistinte, finché un paesaggio inaspettato si materializzò dinanzi ai loro occhi.

Un immenso corso d'acqua scorreva in mezzo ad un deserto, serpeggiando sino a perdersi nel tramonto. Accanto c'era un altro fiume di proporzioni bibliche, composto da migliaia di schiavi incatenati, che trasportavano massi enormi per mezzo di corde e funi.

E tra la moltitudine di uomini che gli passò davanti, curvi sotto il peso della fatica, Michele vide il volto di Theodor.

‹‹Quello sono io, ragazzo, quando la mia anima era ancora giovane.››

La scena cambiò prima che il ragazzo potesse anche solo realizzare cosa aveva appena visto.

Lui e Theodor furono sbalzati avanti nel tempo di migliaia di anni: si ritrovarono tra gli spalti di un'immensa arena, circondati di nuovo da migliaia di persone che assistevano festanti a uno spettacolo.

‹‹Oh, questo invece è il Colosseo... Come era bello allora, nel mio momento di gloria!››

Come un nonno che mostra al nipotino gli album ingialliti di famiglia, Theodor indicò un punto poco più in alto di loro.

Michele guardò in quella direzione, e tra gli spalti vide sbucare un soppalco contornato da preziose sete color porpora. Stemmi imperiali erano ricamati ovunque, e sotto l'ombra dei drappeggi sbucava un ometto con una corona d'alloro, gli occhi d'un azzurro glaciale che ammiravano con orgoglio il tributo del suo popolo.

La consapevolezza iniziò a prendere forma nella sua mente, ma prima che si tramutasse in parole Theodor lo condusse ancora a spasso nel passato: una caccia al bisonte in mezzo ai pellerossa; una battaglia tra due eserciti orientali; la tranquillità d'un monastero medioevale; una città plumbea, frenetica e puzzolente che doveva essere la Londra vittoriana... In ogni luogo perduto tra le pagine della storia, Michele riconobbe il brutto volto di quell'uomo.

L'illusione si dissolse, e il mondo intorno a loro tornò ad essere buio. O forse, pensò, era l'oscurità ad essere la vera illusione.

‹‹L-lei è... Immortale, vero?››

Le parole gli scricchiolarono tra i denti, tanto pesanti e misteriose da sembrargli macigni.

‹‹Tutti noi lo siamo, ragazzo. Anche tu, anche tua madre. L'unica differenza, è che io ne sono cosciente da millenni!››

Theodor gli rivolse un sorriso malinconico. ‹‹Per quanto il mondo possa cambiare, per quante civiltà siano nate e morte nel corso della storia, c'è un filo che unisce ogni singola creatura che ha potuto definirsi viva... Ja, un'eredità che nemmeno la fine dei tempi potrà cancellare!››

Michele rimase a lungo a soppesare quelle parole, chiedendosi quanto di tutto ciò fosse vero. L'oscurità che lo circondava lo aiutò a rilassarsi, a non rimanere sconvolto dalla rivelazione che aveva appena ricevuto; nel buio, in fin dei conti, era sempre stato a suo agio.

Si rese conto di quanto lui stesso fosse speciale, diverso da qualunque altro essere umano avesse mai incrociato lungo il suo cammino. D'improvviso, il ragazzo fu preso da una risata incontrollabile, che lasciò stupefatto lo stesso Theodor.

‹‹Com'era quel detto? Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni!››

Aveva sentito quella frase solo qualche giorno prima, quando Giacomo gli aveva mostrato le ultime foto che Veronique aveva postato su Instagram: la citazione di Shakespeare, condita da hashtag ben mirati, le era servita solo da didascalia per esibire quel suo fondoschiena marmoreo. In quel momento, però, acquisiva ben altro significato.

Figlio di un SognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora