XVI.2) Figlio di un Sogno II - FINALE

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L'eco di una voce distante, persa tra le infinite vallate del tempo, invocò il suo nome, ma lui non voleva saperne di riaprire gli occhi. Aveva paura, e si sentiva più sicuro così, all'oscuro dalla verità: l'ignoranza può salvarti la vita, era questo che pensava.

‹‹Michele, sei tu?››

Quella voce lo chiamò di nuovo dall'angolo più remoto dell'universo, o forse era solo dentro la sua testa; a quel punto la cosa non importava più.

‹‹Michele! Michele!››.

No, non sarebbe caduto di nuovo in questo tranello. Non sapeva da dove venisse quel sussurro dal timbro amorevole, dolce come miele colato sui suoi timpani, ma aveva imparato a sue spese quella lezione: mai fidarsi di quel che si trova nei sogni, specie una voce di donna!

Che strano però... Quanto più cercava di desistere, tanto più quel richiamo gli inebriava la mente. Non gli sembrava affatto una minaccia; lo turbava, certo, così come l'aveva turbato tutto ciò che aveva visto nel mondo onirico. Eppure, dentro di sé, sentì muoversi un impulso che soffocò la ragione, come uno scatto che accese nel suo cuore il fuoco della consapevolezza.

‹‹Michele, sono qui!›› mormorò ancora la voce, e in quell'istante sentì qualcosa sfiorarlo all'altezza del petto. Aprì gli occhi d'istinto, certo di vedere Theodor che cercava di rassicurarlo.

Sulle prime, pensò di trovarsi davanti un enorme serpente, e si ritrasse spaventato. L'elefantessa era stesa a terra, come addormentata, ma la sua proboscide gli fiutava il collo e gli carezzava i capelli.

Confuso, il ragazzo si guardò intorno, e la paura gli mozzò il fiato quando si vide circondato dalla savana, proprio come all'inizio dell'incubo di quella notte. Non meno di dieci altri pachidermi dormivano nei paraggi, simili a collinette scure sorte nel terreno, e solo una di loro vegliava vigile sul sonno della mandria.

Di Theodor non v'era traccia, e nessuno, tranne l'albina, sembrava essersi accorto della sua presenza. La sua vista tornò a concentrarsi su di lei, e tutto il resto parve offuscarsi, perché nient'altro al momento gli interessava.

‹‹M-mamma?››

Si stupì lui stesso nell'udire la sua voce. Fu come se, tra i sentieri delle sue sinapsi, si fosse aperta una nuova strada che la sua mente aveva intrapreso di sua sponte, unendo i tasselli sconnessi dei pensieri di cui quel tragitto era lastricato. E in fondo a quel percorso fatto di incubi e desideri, quando l'evidenza gli si palesò dinanzi, vide gli occhi dell'elefantessa spalancarsi, rivolti verso di lui.

Sulle prime, il candore che lo investì fu tale da accecarlo: il corpo dell'animale parve cambiare, e l'essere che ora troneggiava di fronte a lui irradiava pura luce, tanto potente da risultare insopportabile.

A poco a poco, dove non poteva la vista, gli giunse in soccorso il sesto senso, quell'occhio interiore che solo i sogni riuscivano a dischiudere. I contorni della figura andarono man mano definendosi, e quando fu in grado di guardare nella luce vide stagliarsi al suo interno un volto di donna, bello e terribile come una tempesta nell'oceano.

Michele rimase a bocca aperta, quasi incapace di credere ai suoi occhi.

Sembrava molto cambiata da come la ricordava. La bellissima ragazza nel fiore degli anni pareva aver vissuto mille sofferenze: avrebbe quasi faticato a riconoscerla, se non fosse stato per quegli occhi, così simili ai suoi da non potersi sbagliare.

Con il cuore colmo di una gioia che non provava da tempo, un sentimento che i suoi ultimi sogni avevano rischiato di cancellare per sempre, il ragazzo s'immerse nella luce. Maria lo strinse in un abbraccio che per lui valeva più di qualsiasi risposta, e per la prima volta in vita sua Michele si sentì la persona più fortunata dell'universo.

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