CAPITOLO 3 - LA CENA

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Iris, richiamata alla realtà da quelle parole, aveva staccato con difficoltà lo sguardo dal volto severo di quel misterioso sconosciuto e si era diretta meccanicamente in camera sua, al piano superiore, senza guardarsi ulteriormente intorno. Aveva avuto la sensazione di dover lasciare la stanza per allontanarsi da lui. Ora al sicuro nella sua cameretta aveva ricominciato a respirare normalmente, ma il cuore le batteva ancora forte nel petto. Era frastornata, più che impaurita. Non avevano mai ricevuto invitati a casa prima di allora e quei tipi, soprattutto il riccio, avevano l'aria poco raccomandabile.

Avere ospiti, queste sono stravaganze.

Spinta dalla curiosità più che dalla paura di un ennesimo rimprovero, si decise a scendere per cena. Era certa che dovesse esserci una spiegazione, zia Emma non le avrebbe mai fatto correre alcun pericolo.

Forse sto esagerando, sono ancora scossa dalla partenza di Candice.

La ragazza si era messa qualcosa di comodo, dopo aver fatto una doccia veloce nella speranza di poter scambiare qualche parola con la zia prima di passare a tavola.

Decise di scendere a cena con i capelli sciolti, come piccolo gesto di ribellione, si sentiva pronta a sfidare il mondo grazie alla sua chioma indomabile. La zia avrebbe sicuramente disapprovato quella scelta, i capelli dovevano sempre essere ordinati, raccolti e impeccabili, soprattutto in pubblico.

Iris andò alla finestra, faceva già notte e si era persa il tramonto, quel suo appuntamento fisso. Guardò il suo riflesso nel vetro e provò un moto di tristezza.

Perchè è così sbagliato voler essere semplicemente me stessa?

Cercando di autoconvincersi che non c'era nulla di sbagliato nell'essere diversi dall'immagine che la zia aveva provato a cucirle addosso, decise di scendere ad affrontarla. La partenza di Candice per inseguire i propri sogni era stato un vero terremoto che l'aveva scossa da quel torpore che la inchiodava al suolo, la libertà era a portata di mano. Non avrebbe mai sacrificato la sua autenticità per compiacere la donna che l'aveva cresciuta. Sentiva di essere vicina al punto di non ritorno, prima o poi si sarebbe ribellata a tutta quella pressione.

Entrò in cucina, un ambiente minuscolo, ma accogliente, dallo stile molto retrò nei colori e nel mobilio, senza lavastoviglie né microonde.

«Non abbiamo bisogno di quelle diavolerie» amava ripeterle la zia.

Profumava sempre di erbe aromatiche, che la donna coltivava in piccoli vasi in terracotta colorati che avevano invaso mensole e davanzale, accanto a decine e decine di libri di cucina e di botanica.

La squadrò da capo a piedi, asciugandosi le mani sul suo vecchio grembiule, senza nascondere la sua disapprovazione.

«Dov'è il tuo vestito?» chiese spazientita.

Il vestito per celebrare il solstizio, Iris aveva completamente rimosso. La zia ogni anno la obbligava a indossare stravaganti tuniche dai colori accesi per il suo rituale.

«Non credi che ci sia qualcosa di più importante di cui parlare?» chiese la ragazza.

La donna fece spallucce e rimase a lungo in silenzio, mentre gli strani individui continuavano a chiacchierare molto rumorosamente nella sala da pranzo. Era impossibile ignorare quel baccano, così dopo una manciata di minuti la donna iniziò a parlare, restando molto vaga quanto alla loro identità e alla loro provenienza, limitandosi a spiegarle che una lontana parentela li legava con alcuni di loro e che sarebbero stati loro ospiti per qualche tempo. Era palese che la donna le stava mentendo.

Spesso nel corso degli anni era stata evasiva su molti argomenti e a parte i mille non detti che avevano caratterizzato la sua infanzia e il sentore che le raccontasse qualche bugia, in quel momento la menzogna era flagrante.

The night drowns in dawnWhere stories live. Discover now