CAPITOLO 20 - L'AGGRESSIONE

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Qualcuno sorprese Iris, sbucando dal buio senza preavviso, costringendola a indietreggiare fino ad arrivare spalle al muro. La testa della giovane sbatté violentemente contro i mattoni e il bicchiere le scivolò dalla mano, esplodendo in mille pezzi ai suoi piedi. La giovane non ebbe nemmeno l'istinto di gridare, la mano che premeva con forza sul suo collo la obbligò a voltare il capo di lato e ad assistere a quella scena come a rallentatore.

Un uomo le fu addosso e fu il puzzo di alcol e sigaretta a farla finalmente reagire. Chiuse gli occhi e strillò a pieni polmoni, ma il suo grido fu coperto dal chiasso proveniente dall'interno dell'Eden. La ragazza cercò di sfuggire a quella presa, ma il suo aggressore era decisamente più forte di lei. Tentò di divincolarsi e urlare ancora una volta, ma lui le tappò la bocca. Sentì il sangue pulsare nelle tempie e il cuore balzare fuori dal petto.

Reagisci e scappa.

Iris in un gesto disperato morsicò con forza la mano che la obbligava al silenzio. L'uomo urlò di dolore e mollò la presa. La ragazza spalancò finalmente gli occhi e riconobbe il volto di quel viscido cliente che da settimane non le dava tregua e che viveva nel suo palazzo. Le pupille rosse e dilatate, profonde occhiaie violacee e labbra sottili piegate in un ghigno rivoltante. Nonostante la mascherina che indossava, non c'era dubbio che fosse lui.

Il panico durò poco, lasciando ben presto lo spazio allo stupore. Qualcuno apparve dal nulla e gli poggiò una mano sulla spalla.

«Senti amico» esordì il ragazzo sbronzo ancora di spalle. «Cosa...».

Le parole gli morirono in gola, quando voltandosi si rese conto dell'imponente stazza dell'uomo dietro di lui. Squadrò lo sconosciuto con aria terrorizzata, mentre questo si limitava a fissarlo severamente.

Iris approfittò di quell'attimo di distrazione per mettersi in salvo dietro il suo salvatore.

Era terrorizzata, ma allo stesso tempo sollevata. Rimase immobile e muta, con le gambe che le tremavano ancora. L'uomo che era corso in suo soccorso si voltò finalmente verso di lei. Fu un momento intenso e sospeso nel tempo. Avvolta in quella fragile bolla, Iris si perse in quegli occhi neri, lasciando fluire liberamente i suoi pensieri e si rese conto di quanto avesse fantasticato quel momento nel corso delle settimane. Nessuno disse nulla, poi lui si avvicinò e le poggiò una mano nell'incavo della schiena, forse con l'intenzione di accompagnarla all'interno del locale, dove la festa continuava. Non sembrava intenzionato a fare del male al suo aggressore.

«Se la volevi tutta per te bastava dirlo» disse il ragazzo barcollando. «Divertiti».

La ragazza vide l'espressione dell'uomo trasformarsi. Il suo sguardo si fece fisso, le sue narici si gonfiarono e i suoi lineamenti si tesero in una smorfia di odio. Si arrestò e dopo aver inspirato profondamente tornò indietro con passo deciso. Afferrò il ragazzo per il bavero della giacca, lo sollevò da terra senza difficoltà e lo sbatté con forza contro il muro in mattoni. Questo sussultò, il fiato gli si mozzò. Quando l'altro alzò un pugno per colpirlo in pieno viso, Iris si preparò al peggio. Un cazzotto gli avrebbe fracassato la testa. L'altro supplicò pietà e l'uomo abbassò il braccio e lo adagiò a terra. Aveva solo voluto spaventarlo. L'assalitore si diede alla fuga, inciampando goffamente a più riprese lungo il vicolo. L'altro tornò da lei per accertarsi delle sue condizioni.

«Sto bene» disse lei.

Era visibilmente scossa, stentava a trattenere le lacrime. Non aveva il coraggio di tornare dentro. Si rese conto di avere ancora quelle stupide orecchie da gatto in testa, se le tolse e le gettò per terra.

«Ti va di fare due passi?» chiese agitata.

L'uomo annui e i due si allontanarono in silenzio dal locale. Giunti in un luogo appartato, appena rischiarato da un lampione poco distante, si sedettero su un muretto. Iris non riusciva a parlare, le tremavano ancora le mani. L'uomo le sfiorò appena appena il dorso della mano con fare protettivo per far cessare quel tremore e la guardò dritta negli occhi. Il suo tocco era freddo e le causò un brivido lungo la schiena. Nonostante il suo silenzio ostinato, Iris sentiva di aver stabilito una sorta di intesa con lui.

«Io mi chiamo Iris e tu?» chiese lei per rompere il ghiaccio.

L'uomo ritirò la mano e abbassò lo sguardo. La più semplice delle domande sembrava averlo messo in difficoltà. Anche lei negli ultimi tempi aveva seri problemi a rispondere a quella domanda. Nella sua vita quotidiana si sentiva Iris, ma nei suoi sogni era sempre più spesso Naya.

«Chiunque tu sia non ha importanza, ho bisogno di sapere solo una cosa» aggiunse seria. Fece una pausa, pensando a come porre la sua domanda, ma alla fine le parole le uscirono dalla bocca in modo più diretto di quanto avrebbe voluto. «Rappresenti un pericolo per me?».

Che domanda stupida, anche se lo fosse non verrebbe certo a dirtelo.

Lui parve riflettere, poi scrollò il capo.

«Sappi che non esiterò a difendermi» disse lei decisa.

Iris non sei credibile.

L'uomo, divertito da quella affermazione, scese dal muretto, prese un bastoncino e scrisse una parola nella polvere, poi si indicò il petto.

«Hektrien» disse lei leggendo ad alta voce.

Il cuore di Iris accelerò il battito. In fondo lo aveva sempre saputo, ma ora era tutto reale. Era il soldato della Tetra Armata che forse le aveva salvato la vita la notte del massacro, nonché primogenito di zia Emma. Non sapeva fino a che punto potesse fidarsi di lui, non era capace di decidere lucidamente se seguire le sue sensazioni o usare la testa, perché lui continuava a guardarla, facendole provare un misto inspiegabile di desiderio e paura. Decise di mantenere la calma e non dire nulla, cercando di mascherare il suo turbamento interiore, ma ebbe come l'impressione che lui sospettasse qualcosa.

«Posso chiederti una cosa?» chiese la giovane, mentre lui riprendeva posto accanto a lei. «Tu capisci la mia lingua, ma non parli» iniziò lei cercando le parole più adatte per porre la sua domanda.

Quello comprese all'istante. Mosse l'indice davanti alla bocca, mimando il movimento della sua lingua, poi con un rapido gesto con l'altra mano lo afferrò con forza e simulò il gesto di strapparla via. Iris sussultò, sembrava una qualche forma crudele di punizione, sbucata da un'altra epoca.

Che avrai mai fatto per meritarti una cosa simile?

L'uomo le sorrise, alzò leggermente le spalle e le fece cenno con la testa di non pensarci.

Fu qualcosa di difficile da elaborare, ma i due trascorsero quasi un'ora insieme e cominciarono a provare sempre più facilità nel comunicare. Iris scoprì che viveva nel bosco e che negli ultimi giorni aveva girato per il paese nella speranza di poterla rivedere.

Nel frattempo Candice, accortasi dopo molto tempo dell'assenza prolungata del'amica, era uscita a cercala e aveva visto il suo bicchiere rotto a terra nel vicolo. Li aveva finalmente trovati e li guardava da lontano, indecisa se avvicinarsi o meno. Fu Hektrien ad accorgersi per primo della sua presenza e a fare un cenno a Iris. Lei salutò con la mano l'amica per rassicurarla. Era arrivato il momento di congedarsi.

Iris scese dal muretto e rovistò nelle tasche del suo giubbino.

«Tieni» disse porgendogli delle mance. Lui respinse quella somma. «Per favore. Non è molto, ma voglio essere sicura che starai bene. Devo andare. Fatti vedere in giro ogni tanto».

Iris corse verso Candice, senza voltarsi indietro. Era scossa dall'aggressione e dalla svolta che aveva preso quella serata, ma aveva uno stupido sorriso stampato sulle labbra. La possibilità di essere nei guai con il proprietario del pub per la sua scomparsa non la toccava minimamente. Avrebbe voluto condividere con Candice ciò che stava accadendo, per cercare consiglio e supporto nella sua migliore amica come ogni ragazza della sua età, ma non poteva. Non avrebbe mai potuto spiegarle in che circostanze si fossero conosciuti e come le loro storie fossero strettamente legate.

«Mi hai fatto prendere un colpo. Stavo per chiamare la polizia» disse l'amica prendendola sotto braccio.

The night drowns in dawnWhere stories live. Discover now