CAPITOLO 19 - LA FESTA

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La festa in maschera all'Eden si rivelò più piacevole del previsto. Nonostante Iris all'inizio si sentisse tutti gli occhi addosso a causa del suo abbigliamento, il disagio scomparve poco a poco e iniziò a godersi la serata. Era chiaro che nessuno la stesse guardando. In quel covo di artisti, il suo travestimento era di gran lunga il meno stravagante.

La giovane andava avanti e indietro tra i tavoli e iniziò a scambiare addirittura qualche timida parola con i clienti, ma a un certo punto in mezzo alla folla, nonostante le luci soffuse, le parve di incrociare per un istante un paio di occhi neri che conosceva bene. Iris raddrizzò la spalle e strizzò gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco quella persona che l'aveva così incuriosita, ma non ci riuscì. Posò il suo vassoio sul bancone del bar e si fece strada inconsciamente tra la folla, con il cuore che batteva veloce, tra gli spintoni della gente che ballava a ritmo della hit del momento.

Doveva essersi sbagliata, lui non c'era. Scrollò il capo e tornò al suo lavoro, anche se ancora leggermente stranita.

Quella sera anche Candice lavorava al locale. Indossava lungo e aderente vestito da sirena, adornato da paillettes e perline color verde smeraldo, con un provocante spacco laterale. Si muoveva agile tra i tavoli con enormi vassoi carichi di cocktails, sui suoi tacchi vertiginosi. Era davvero a suo agio in quell'ambiente allegro e chiassoso. Conosceva quasi tutti i clienti, aveva una parola simpatica per ognuno di loro, teneva a mente senza fatica gli ordini e trovava anche il tempo di aiutarla quando la vedeva in difficoltà, scambiandole da lontano occhiate complici e larghi sorrisi.

Iris ammirava quella sicurezza, perchè lei al contrario dell'amica era sempre più distratta e impacciata. Si sentiva inspiegabilmente osservata. Il frastuono del pub era sempre più fastidioso, la musica era sempre più alta e martellante e le voci e le risate degli invitati si sovrapponevano, creandole una leggera vertigine. La giovane non riusciva più a concentrarsi sulla sua missione, perchè continuava a cercare quello sguardo in mezzo a quella moltitudine di maschere, lanciando occhiate furtive a destra e a sinistra.

Come possono quegli occhi appartenere a qualcun altro?

Il resto della serata fu davvero complicato, Iris iniziava a essere esausta, prendeva gli ordini, dispensava finti sorrisi e i suoi movimenti si fecero automatici e privi di energia. Era molto tardi quando Candice le propose finalmente una pausa. Le due ragazze si appartarono in una nicchia, vicino all'uscita di sicurezza sul retro, dove la musica era un poco più attutita.

«Dimmi come si chiama» disse l'amica porgendole un bicchiere.

«Chi?» chiese lei afferrandolo.

«Lui».

«Lui chi?» domandò Iris senza guardarla.

«Avanti. E' chiaro stai cercando qualcuno tra la folla. Ti conosco».

«Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando» rispose ancora sovrappensiero.

Nonostante le ripetute insistenze, Iris continuò a negare, ma Candice non si sbagliava, perché qualcosa non andava e l'amica era completamente altrove.

Iris aveva addosso una sensazione difficile da spiegare, le rimaneva il sospetto che il suo compagno di viaggio fosse davvero li.

Con il passare delle settimane aveva iniziato a dimenticare i tratti del suo volto, ma non il suo sguardo. Socchiuse un attimo gli occhi e ricordò il loro primo incontro nel bosco. Ebbe all'improvviso bisogno d'aria.

«Coprimi per favore» disse alla amica.

«Spero sia carino» rispose l'altra facendole l'occhiolino.

Iris sbuffò, prese il suo giubbino dall'appendiabiti e uscì fuori. Si ritrovò sola sul retro del locale con il suo cocktail tra le mani. Si tolse la mascherina nera e levò gli occhi al cielo, accorgendosi che si stava rannuvolando. Si intravedeva appena appena uno spicchio di luna dietro dense nubi scure e le venne spontaneo domandarsi se anche Nemiah la stesse guardando. La giovane aveva nostalgia di casa, ma non poteva tornare, perché nel migliore dei casi sarebbe stata imprigionata e nel peggiore trascinata di peso in un altro mondo.

Aveva avuto la sensazione di essere un pacco postale per tutta la sua infanzia, sballottata da un posto all'altro del Paese, senza mai poter dire la sua e non voleva più rivivere la stessa cosa. Eppure una strana malinconia si impossessava di lei quando pensava a quella vita nomade e alla bambina spensierata di un tempo, a cui non era mai mancato nulla. Si ricordò delle passeggiate nei boschi, dei balli improvvisati in mezzo al verde, delle cacce al tesoro, i picnic all'aperto e ognuno di quei momenti con zia Emma era stata un'opportunità per imparare qualcosa sulla natura che le circondava. Poi crescendo tutto era cambiato, a Iris tutte quelle cose non interessavano più, voleva essere se stessa, ma al contempo una ragazza come tutte le altre.

Stava fantasticando immaginandosi che nulla fosse cambiato dopo la sua fuga. Zia Emma non era andata alla polizia, troppo rischioso dover dare spiegazioni, ma era impossibile averne la certezza. Iris visualizzava la zia seduta in cucina davanti a una delle sue tisane fumanti e Nemiah seduto in giardino a gambe incrociate. Le venne in mente una pagina del diario, dove zia Emma raccontava la notte della fuga, quando aveva implorato le stelle perché tenessero compagnia alle persone a cui voleva bene. Ripensò a tutte le sere in cui si era sentita triste e sola affacciata alla finestra e a come quello spettacolo le avesse veramente dato conforto. Era stata una sciocca, aveva perso del tempo prezioso, avrebbe dovuto parlare con la zia e cercare di capirla. Aveva imparato più su di lei attraverso le pagine del suo diario, che in quindici anni di vita comune. Un'ondata di solitudine la colpì e si lasciò scappare un grosso sospiro.

Poi qualcosa accadde riportandola bruscamente alla realtà.

The night drowns in dawnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora