CAPITOLO 7 - IL TEMPORALE

523 33 44
                                    

Durante quei mesi estivi di coabitazione forzata con il branco non successe nessun evento di particolare rilevanza.

L'unico episodio degno di nota accadde una piovosa notte di inizio agosto. Iris comprese finalmente la ragione dell'atteggiamento antipatico di Nemiah nei sui confronti. Non era altro che la naturale conseguenza di uno dei tanti segreti di zia Emma o meglio di colei che ormai tutti in casa chiamavano Euniria.

Quella notte la giovane, risoluta ad approfittare dei rumorosi scrosci d'acqua prodotti dal violento temporale estivo che si stava abbattendo sulla regione, decise di calarsi dalla finestra della sua camera nel tentativo di eludere la sorveglianza di Fidian, appostato al di là della porta.

Aveva appena aperto la finestra quando udì delle voci confuse provenire dal giardino sottostante. Allungò il collo e vide che proprio sotto di lei era in corso un'animata discussione tra Nemiah e la zia. La giovane non riusciva a capire chiaramente tutto ciò che stava accadendo, ma captando qua e là qualche parola comprese che la donna, riparandosi con un ombrello, insisteva perché il ragazzo entrasse in casa per difendersi dalla pioggia battente. Lui incurante dell'acqua che ormai lo aveva inzuppato dalla testa ai piedi, incollandogli i riccioli al viso, continuava a rifiutare quel suo invito.

A un certo punto, probabilmente esasperato dall'insistenza della donna, senza preavviso iniziò a urlarle contro tutto il suo disprezzo. Le sue parole arrivarono chiare all'orecchio di Iris.

«Ti preoccupi che io possa ammalarmi forse? Lo sai quante ne ho passate negli ultimi anni? Quante volte sono stato sul punto di morire per una semplice febbre? Dove eri quando avevo bisogno di te? Crescevi una bambina che non era nemmeno la tua, in una casa, al caldo, mentre io ho trascorso ogni inverno, ricoperto di stracci, a tremare per il freddo in una capanna, accudito da sconosciuti. Non ti sei mai preoccupata di me negli ultimi quindici anni, dove mi trovassi, come stessi o cosa facessi. Hai deciso di abbandonarmi per crescere quella. Ora vieni qui come se nulla fosse e pretendi che io ti ascolti?». tuonò. Non ricevette risposta. «Hai fatto la tua scelta Euniria. Ora é troppo tardi per fare la madre. Vattene».

La donna non reagiva, Iris provò a immaginare la sua espressione. Le sembrava impossibile che potesse mantenere la sua impenetrabile freddezza, con i suoi soliti occhi celesti che non esprimevano mai nulla, ma lei restava immobile in silenzio.

Rispondi. Abbraccialo. Quelle parole urlate meritano risposta.

Solo il rumore della pioggia e il nulla che doveva rimbombare nella testa dell'alfa.

«Vattene» ringhiò quello una seconda volta.

Quella, senza dire una parola, percorse i pochi metri che la separavano dall'uscio di casa. Il ragazzo, dopo aver preso rabbiosamente a calci un secchio abbandonato accanto all'aiuola, si mise seduto sopra il giaciglio che aveva creato sotto una rudimentale tettoia di legno, ricavata sotto i rami di due grandi alberi da frutto. Sembrava provare dolore e delusione, era come se la sua sofferenza non fosse riconosciuta o addirittura non avesse diritto di esistere.

Nemiah levò improvvisamente lo sguardo verso la finestra della camera di Iris, ma lei con un veloce movimento si ritrasse e si spostò lateralmente dietro la tenda, augurandosi di essere stata abbastanza rapida a celarsi alla sua vista. Immobile con il batticuore e con la schiena poggiata contro la parete, era ancora senza parole di fronte a quella rivelazione, che l'aveva colta davvero alla sprovvista.

Il licantropo era figlio di Euniria ed era stato abbandonato chissà dove proprio per colpa sua. Era lei la causa della sua infelicità, come biasimare quel suo odio nei suoi confronti.

Iris da allora iniziò a trascorrere lunghe ore alla finestra a osservare il licantropo che, a differenza dei compagni, non dormiva mai all'interno della casa, dove il salone era stata adibito a dormitorio, ma in giardino, esattamente sotto la sua finestra, sotto il cielo stellato, a parte le rare volte in cui si riparava sotto gli alberi poco distanti nelle notti di pioggia.

La ragazza si stupì di non essersi mai accorta di quella sua abitudine, ma comprese che, avendo passato la maggior parte delle giornate sdraiata a letto a fissare il soffitto, non era poi così strano che quel particolare le fosse sfuggito.

Nemiah occupava le sue notti sempre nello stesso modo, fissava il cielo con un'espressione oscillante tra la malinconia e la rabbia. Non vagava mai con lo sguardo, non godeva mai della bellezza della volta celeste, non era un sognatore, ma qualcuno di ben ancorato al suolo, che portava dentro di sé un dolore grande e il peso di un destino già segnato. Guardandolo Iris realizzò che l'idea dell'uomo lupo, schiavo della luna, non era poi così romantica come aveva sempre immaginato. Era prigioniero della sua natura, esattamente come lei, costretto a sacrificare i propri desideri, qualunque essi fossero.

La giovane iniziò a provare una sorta di inspiegabile affetto per quel ragazzo dall'espressione perennemente corrucciata, che fissava così intensamente la luna, forse sfidandola.

Erano entrambi come stelle smarrite nell'infinità dell'universo, soli al mondo, traditi dalla donna che li aveva cresciuti e impossibilitati a essere semplicemente loro stessi. Ecco ciò che li accomunava, ma lei si lasciava trasportare dai suoi sogni e aveva quasi l'impressione che tutto fosse a portata di mano, anche la luna non sembrava poi così lontana.

Cielo e oceano non erano poi così diversi, entrambi misteriosi, in continuo mutamento e senza confini visibili. Erano sinonimo di libertà.

Iris, vivi senza fretta.

Affacciandosi ogni sera alla finestra fantasticava e aveva l'impressione di fare compagnia al ragazzo. In quel modo anche lei si sentiva meno sola.

DIREI CHE L'OCCASIONE PER TENTARE LA FUGA NON DOVREBBE TARDARE ...

The night drowns in dawnWhere stories live. Discover now