CAPITOLO 26 - CASA

152 20 53
                                    

Iris corse a casa in lacrime, coprendo la distanza che la separava dall'appartamento in pochissimo tempo. Candice stava già dormendo a quell'ora e non si accorse di quanto stava accadendo nella stanza accanto. La giovane rincasata in punta di piedi, cercando di reprimere i singhiozzi, stava radunando i pochi effetti personali, in preda all'angoscia e alla confusione, vagando da una parte del salone, accecata dal pianto. Era scappata per rincorrere la libertà e aveva fallito, era incatenata al suo passato e non poteva farci nulla. Ovunque fosse andata si sarebbe sempre imbattuta in sé stessa, la ragazza emotiva dalle mille fragilità che non voleva più essere.

Finito il suo leggero bagaglio, prese carta e penna e scrisse un biglietto all'amica, sperando che fare qualcosa di concreto potesse aiutarla.

Candice, quando leggerai queste righe sarò già lontana. Zia Emma ha bisogno di me a casa, staremo bene, non devi preoccuparti. Mi dispiace lasciarti così, ma lo sai che non sono brava quando si tratta di sentimenti. Penserai che è proprio da me sgattaiolare via dalla porta di servizio, senza avvertire. In fondo è così che ho vissuto la mia vita fino ad ora, fuggo davanti ai problemi, fuggo gli sguardi e le critiche, persino le emozioni. Gli anni in tua compagnia mi hanno fatto comprendere che tipo di persona vorrei essere, sei sempre stata un esempio per me. Sei così forte e libera Candice, non ti importa delle occhiate e del giudizio altrui. Rimarrai sempre il mio ricordo più caro. Seguirò la mia strada senza paura, proprio come te. Ti voglio bene. Iris.

L'inizio di quella lettera fu l'ennesima bugia che Candice non meritava, ma tutto il resto veniva dal cuore. Era difficile immaginarsi una vita senza l'amica, ma andarsene significava dirle addio per sempre. Il suo era un viaggio senza ritorno, ne era consapevole.

Iris non riuscì a prendere sonno quella notte, si addormentò solo una manciata di ore con il suo foglio accanto al cuscino. I capricciosi fantasmi del passato non le diedero pace e la costrinsero a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola quasi ininterrottamente. Alle sei di mattina sgusciò fuori casa, proprio come una vigliacca, facendo scivolare con delicatezza il suo messaggio sotto la porta della camera da letto della coinquilina. Cappello di lana in testa, sciarpona calda, giubbino, stivali e zaino in spalla, pronta a uscire.

«Addio Candice» mormorò, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Camminando lungo i vicoli deserti, addobbati a festa, udiva solo il ticchettio cadenzato dei suoi stivali sul ciottolato. Si rese conto che l'angoscia della notte aveva lasciato spazio a una strana calma interiore. Si guardava attorno, i suoi occhi si attardavano sulle lucine intermittenti e sulle ghirlande sopra la sua testa, sui davanzali decorati con pupazzetti e alberelli. Era Natale e quella festa significava famiglia, il suo posto era accanto a zia Emma. Quel silenzio e quella oscurità erano confortanti, partire era stata la scelta giusta, ma lo era altrettanto tornare.

Non avrebbe rinunciato alla sua libertà, l'avrebbe inseguita, raggiunta e conquistata. Avrebbe avuto le risposte a quegli interrogativi che le toglievano il sonno, doveva imporsi, non fuggire o nascondersi dietro alle sue insicurezze.

L'aria era gelida, ogni respiro si trasformava in una nuvoletta bianca e sentiva la punta del naso intorpidita. Giunse alla stazione senza accorgersene, fece il biglietto alla macchinetta con le dita intorpidite dal freddo e rimase in attesa al binario deserto. Il treno per Devon fu annunciato in perfetto orario, salì i gradini della carrozza lentamente e si guardò indietro un'ultima volta, sperando di scorgere Hektrien da qualche parte, nascosto nell'ombra.

Addio Principe ribelle.

Fu un sollievo poter prendere posto in uno dei vagoni. Si lasciò cadere sul sedile rosso, ancora vestita e poggiò lo zaino in grembo, abbracciando così tutto ciò che possedeva.

The night drowns in dawnWhere stories live. Discover now