CAPITOLO 5 - IRIS O NAYA

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Da quella notte nulla fu più come prima. Colei che aveva sempre considerato quasi come una madre si era rivelata una bugiarda e i suoi ultimi quindici anni di vita solo falsità. Persino il suo nome, che secondo zia Emma era stato scelto proprio da sua madre, era un'invenzione. Forse la più grande, perché andava a minare la sua identità più profonda.

Chi era Iris? Chi sono io?

Iris era stata una bambina iperattiva e curiosa, con un'infinità di interessi differenti e una spiccata attrazione per la natura che la circondava, proprio come la Principessa Naya. Aveva sempre amato il loro incessante girovagare per il Paese, perché le permetteva "con le dovute precauzioni", come diceva sempre la zia, di entrare in contatto con un'infinità di persone e luoghi. Con il passare degli anni però a causa della sua vivacità aveva sviluppato una vera insofferenza verso le rigide regole imposte dalla zia, ma soprattutto verso la sua drastica scelta di interrompere di punto in bianco quel loro vagabondare per stabilirsi nella noiosa Devon, dove vivevano da circa cinque anni. Sentiva che rimanendo lì stava facendo per l'ennesima volta una violenza contro sé stessa.

Non aveva mai escluso la possibilità di mettere radici un giorno o l'altro. Quando aveva circa dodici anni era stata proprio lei a chiedere di stabilirsi in un piccolo villaggio sulla costa, aveva scoperto il mare, trascorreva ore sulla spiaggia a guardare la spuma bianca delle onde infrangersi a riva e a riempire piccoli barattoli di tesori che nascondeva nello zaino. La zia le aveva fatto una delle sue solite ramanzine sul fatto che fosse irrazionale volersi fermare proprio lì e Iris aveva addirittura avuto la sensazione che avesse accelerato il loro trasloco.

Ed eccole dopo tante peregrinazioni a Devon, la cittadina di provincia dove non accadeva mai nulla. Zia Emma parlava di quel luogo come di un rifugio dalla frenesia della città e ne esaltava spesso le bellezze nascoste, ma nonostante gli sforzi Iris ci vedeva ben poco di positivo, solo un buco sperduto con pochi servizi e poche attrattive per una ragazza come lei. Vivere in un luogo così triste e a quelle condizioni era qualcosa che la faceva soffrire enormemente. Lei aveva bisogno di azione, si sentiva intrappolata. Quando parlava alla zia di avventure e opportunità, quella rispondeva con un discorso dedicato a cose che ai suoi occhi erano prive di interesse, come il canto delle cicale la sera prima di addormentarsi o il profumo dei fiori selvatici del suo giardino.

Iris, vivi senza fretta.

Quella frase rimbombava nelle sue orecchie da sempre.

Come si può vivere senza fretta quando c'è così tanto da vedere?

Il loro particolare stile di vita le aveva impedito l'instaurazione di qualunque rapporto umano che andasse oltre alla semplice conoscenza e ciò non le era mai pesato fino ad allora, perché grazie al suo carattere riservato e solitario e alla sua immaginazione, Iris non aveva mai reputato i legami come indispensabili. Non era mai riuscita ad affezionarsi profondamente a nessuno. Solo Candice era riuscita poco a poco a farle credere all'importanza degli affetti. L'amica era la sua confidente e rappresentava ciò che lei avrebbe voluto essere. Candice era libera sotto ogni aspetto, poteva esprimere se stessa, coltivare le sue passioni e andare e venire come le pareva.

Zia Emma, quella donna misteriosa, per stramba che potesse apparire agli occhi di tutti, dall'abbigliamento anticonformista, dai modi eccentrici, però rappresentava l'unica figura genitoriale che Iris avesse mai conosciuto. Era stata lei, nonostante tutto, a crescerla, educarla e sostenerla in ogni tappa della sua vita. Era sempre stato il suo unico punto di riferimento, nonostante la ragazza avesse da sempre saputo di non poter fare affidamento su nessuno. La zia non era certo qualcuno a cui poter fare delle confidenze.

La morte dei suoi genitori in un banale e tragico incidente d'auto era una pura invenzione.

Era senza dubbio l'idea dell'inganno compiuto così naturalmente dalla zia a farle più male e a tormentarla ogni sera, quando finalmente si chiudeva a chiave al buio nella sua camera. Per assurdo l'aver scoperto il massacro della sua famiglia per il capriccio di un uomo crudele e senza scrupoli era meno duro da incassare. Illogico forse. Spesso si chiedeva se fosse possibile soffrire per qualcuno di cui non si aveva alcun ricordo, ma la risposta a questo quesito era sempre la stessa. No. C'erano momenti in cui provava una sincera commozione davanti a tanto orrore, ma il suo non era vero dolore. Quel groppo alla gola, quel perenne peso all'altezza del cuore era causato dalla consapevolezza del tradimento subito.

Iris non aveva alcun ricordo dei suoi genitori, dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Non sapeva nemmeno quanti fossero esattamente. L'unica cosa che in qualche modo la legava al passato era una catenella da sempre al suo collo, che secondo una delle rare confessioni della zia era appartenuto a sua madre. Chissà se crederci. Iris afferrò il ciondolo come per aggrapparsi alla speranza. In fondo in fondo una parte di lei era fermamente convinta, che la zia avesse avuto un vero legame con sua madre, perché era l'unica persona di cui ogni tanto parlava con un abbozzo di sorriso e che le aveva addirittura fatto dono di un diario.

Quell'oggetto sbucato dal passato, con cui spesso, sovrappensiero, giocherellava con le dita, era un pendente apparentemente semplice, una pietra turchese, leggera e liscia come il mare all'alba, che si fondeva progressivamente con una ruvida pietra nera, dando forma una spirale. Non lo aveva mai tolto per paura di perderlo. Lo stringeva forte ogni volta che si sentiva insicura o arrabbiata e tutte le emozioni negative si dissolvevano nell'aria, lasciando spazio a energia positiva. A lungo si era interrogata sul significato e la storia di quel gioiello, grazie a lui si sentiva protetta e connessa a qualcosa di più grande di lei, ma forse era solo suggestione.

The night drowns in dawnWhere stories live. Discover now