CAPITOLO 38 - TREGUA, PACE E GUERRA

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Una miriade di immagini si affollarono nella memoria di Iris. Quel nome urlato a squarciagola che aveva rimbombato sulle immense pareti della grotta e la vista di quel sangue sulla sua mano avevano avuto il potere di riportarla per un breve istante nel passato, a quella notte maledetta in cui tutto era cambiato.

Naya aveva urlato il suo nome ogni notte durante settimane e settimane, fino a quando zia Emma aveva iniziato a ripeterle che quel bambino dai riccioli biondi era solo il frutto della sua mente. Aveva iniziato a chiamarlo amico immaginario e a spazientirsi sempre di più davanti alle insistenze della bimba, convincendola poco a poco che fosse davvero solo il prodotto della sua fantasia. Nemiah era stato relegato in un angolino della memoria insieme a tanti altri ricordi dolorosi della sua infanzia e poi dimenticato.

Era stato proprio lui il suo angelo custode durante tante notti insonni.

L'unica sua traccia concreta era proprio nel diario.

"In quegli ultimi mesi la vittima preferita di quella piccola peste, quando non era assorbita dai giochi con il suo amico immaginario, ero proprio io".

Così aveva scritto zia Emma e solo in quel momento Iris realizzò che stava parlando proprio di suo figlio.

Nemiah non doveva sapere che sua madre aveva finto per anni che lui non fosse mai esistito. Non glielo avrebbe mai confessato, a costo di addossarsi la colpa di averlo dimenticato. Voleva risparmiargli l'ennesimo dolore.

Lui era lì in carne e ossa davanti a lei, avvolto dalla sua solita aurea magnetica. I suoi occhi celesti la rendevano incapace di distogliere lo sguardo da quel viso così perfetto, nonostante i riccioli ormai disfatti dalla pioggia che gli ricadevano sulla fronte. Gli era mancato tutta la vita senza che se ne rendesse realmente conto e in qualche modo quel legame dimenticato non si era mai spezzato. Fu come ritrovare una parte di sé stessa andata perduta. Era una specie di liberazione, qualcosa di indescrivibile a parole.

«Ce ne hai messo di tempo» disse lui.

«Perchè non me l'hai detto?» chiese lei in un sussurro.

Nemiah la guardava con quel paio d'occhi che aveva il colore del mare d'inverno quando il vento soffiava forte. La sua presenza le dava conforto, ma allo stesso tempo le sembrava di camminare sull'orlo di un precipizio.

«Questo momento non avrebbe avuto lo stesso valore» disse lui, stringendola in un vigoroso abbraccio.

Come dargli torto.

Quell'abbraccio era un gesto così inatteso da parte sua, rappresentava un barlume di umanità di cui non lo credeva capace. Iris ricambiò timidamente quella stretta, poi sentì la forza dei suoi muscoli premere contro il seno, il suo cuore battere forte attraverso la camicia e la sua pelle calda quasi scottarle il viso. Nemiah era un concentrato di fuoco ed energia, un vulcano in eruzione e il suo abbraccio non lasciava spazio alla dolcezza. Era intenso e avvolgente, carico di emozioni difficili da interpretare.

La ragazza provò un brivido che la attraversò da capo a piedi. Aveva avuto la stessa sensazione, quasi disturbante, il giorno in cui l'aveva visto per la prima volta nel salotto di casa, era come se il suo corpo quel giorno l'avesse riconosciuto prima che la sua mente potesse rendersi conto di chi fosse realmente.

L'aria divenne elettrica. Iris sciolse quell'abbraccio, quando divenne così intenso da sembrarle insostenibile. Si sentiva viva, ma vulnerabile e mise istintivamente una piccola distanza tra loro.

«Mi dispiace».

Fu tutto ciò che riuscì a dire. Era scossa e sollevata allo stesso tempo. Si era liberata di un peso e quella barriera invisibile che le aveva impedito per mesi di riconoscerlo era svanita. Non capiva come avesse potuto scordare quegli occhi azzurri, che la scrutavano così da vicino, offuscando i suoi sensi.

The night drowns in dawnWhere stories live. Discover now