Capitolo 33

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Attenzione: Nel seguente capitolo sono presenti riferimenti espliciti ai disturbi mentali e nello specifico al DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) che potrebbero non essere adatti per alcuni di voi.

Fisso la felpa di mio padre e poi la porta della camera, poi di nuovo la felpa, poi la porta, la felpa, la porta...
Forse dovrei fermare Leonardo. Che cosa ho fatto?
Sono così arrabbiato, così incazzato con me stesso. Me la sono presa con lui. Lui non ha colpe. Però non avrebbe dovuto pressarmi. Non avrebbe dovuto riempirmi di domande. Non avrebbe dovuto impicciarsi.
L'ha fatto? Ha fatto tutto questo? No. Oppure sì? Non lo so...
Cazzo, devo andare al lavoro, sono in ritardo.

"Lava la felpa di tuo padre oppure avrà una ricaduta e morirà proprio come Lana."

Guardo l'indumento per un'ultima volta, sbuffo con forza, lo lancio sulla scrivania e scappo fuori dalla stanza.

Esco di casa sperando di vedere Leonardo seduto nel vialetto, ma Leo non c'è. Le lacrime mi segnano il viso. Il suo cellulare è sulla scrivania assieme alle chiavi di casa. La sua roba è in una camera che da mia è diventata nostra. Probabilmente tornerà a riprenderla e poi... e poi se ne andrà.
Se ne andrà perché sono anormale, sono pazzo, sono malato.
Chi vuole stare con un anormale, un pazzo, un malato?

"Lava la felpa di tuo padre oppure avrà una ricaduta e morirà proprio come Lana."

Sento gli occhi pesanti, bagnati. Sto marciando verso il negozio di Francis, con la mente da tutt'altra parte.

"Lava la felpa di tuo padre oppure avrà una ricaduta e morirà proprio come Lana."

Vorrei tornare indietro, lavare la felpa, mettere a tacere questo pensiero incessante. Vorrei anche ignorarlo, non andare al lavoro, vorrei cercare Leo.

"Lava la felpa di tuo padre oppure avrà una ricaduta e morirà proprio come Lana."

Invece cammino, vado avanti, un passo dopo l'altro. Il collo brucia, la gola è secca, il respiro è affannoso, ma vado avanti.

"Lava la felpa di tuo padre oppure avrà una ricaduta e morirà proprio come Lana."

Varco l'ingresso del negozio, saluto con un cenno il propietario, ascolto a malapena quello che ha da dirmi e me ne vado al piano di sopra a tentare di far passare il più in fretta possibile questo turno serale in solitaria, con l'unico desiderio di tornare a casa, stendermi sul letto, addormentarmi e non svegliarmi mai più.

I volti dei clienti sembrano quasi avere tratti indistinti. Non sento cosa mi dicono, soddisfo a fatica le richieste che mi fanno, solo dopo aver borbottato loro di ripetere per la terza o la quarta volta la stessa identica cosa.

"Lava la felpa di tuo padre oppure avrà una ricaduta e morirà proprio come Lana."

Il pensiero incessante che colgo al posto di quello che mi dicono mi sta dilaniando. Sto sudando freddo, sono esausto e mi sento sprofondare nel nulla, come l'astronauta morto che galleggia nello spazio profondo della canzone che proviene dalle casse tra gli scaffali: "Disassociative" di Marilyn Manson.
È un incubo a occhi aperti.

"Mike, oggi non hai lavorato come si deve. Sei stato distratto e poco efficiente. Domani comportati meglio."
"S-sì... mi dispiace, a domani" rispondo avviandomi a passo lento e a testa bassa verso l'uscita.
"Mike..."
Mi volto verso il mio capo che mi sta fissando con aria seria.
"Se c'è qualcosa che non va in negozio, devi parlarmene."
"Lo so, lo so... ma non riguarda il lavoro. Qui va tutto bene" dico sforzando un sorriso.
Ho già aperto la porta, quando sento Francis mormorare: "Cos'è successo?"
Mi mordo le labbra, deglutisco e senza pensarci troppo su dico a mezza voce: "Un paio di giorni fa la mia cagnolina è venuta a mancare."
"Mi dispiace molto."
Mando a fatica indietro il pianto annuendo quasi impercettibilmente. Chiudo la porta e prendo un lunghissimo respiro.
"Oggi ero triste e nervoso... ho trattato male il mio ragazzo, gli ho urlato contro, l'ho cacciato via e lui se n'è andato. Non so se voglia stare ancora insieme a me..."
Il mio cuore pare stritolato da una pinza incandescente dopo averlo ammesso. Gli occhi mi si riempiono di lacrime che freno con un lembo della sciarpa.

Sento Francis sospirare rumorosamente. Mi giro e noto che ha lo sguardo altrove. È come se stesse riflettendo sulla risposta da darmi.
Non so perché io ne stia parlando con lui, so solo che non riesco a tenermelo dentro. In questo momento è tutto troppo faticoso. Lo gestisco a malapena e non so per quanto riuscirò ancora a farlo.
"Sembrava tutto perfetto e ho rovinato tutto" concludo cupo.

Francis mi scruta per qualche istante muovendo impercettibilmente le sopracciglia.
Poi fa un altro lungo sospiro e inizia a parlare.
"Mia moglie Ellie, è morta poco più di due anni fa. È stata ed è tutt'ora la persona più importante della mia vita. Con lei ho riso, pianto e urlato come non ho mai fatto con nessun'altro. Con lei e grazie a lei, ho potuto aprire questo negozio e vivere di ciò che amo.
Se qualcuno mi desse la possibilità di rivivere gli istanti passati insieme, io vorrei farlo esattamente come ho fatto, non cambierei assolutamente nulla, tranne una cosa: la mia ricerca della perfezione."
Si gratta il mento sistemandosi la barba e prosegue.
"Alcuni dei miei ricordi di lei e qualcuno dei nostri momenti sono stati rovinati o dimenticati a causa della mia ossessione per la perfezione. Volevo renderli così straordinari, da trasformarli in memorie poco importanti."
Io lo fisso con la bocca aperta non sapendo cosa dire e soprattutto sorpreso d'aver capito ogni singola parola del suo discorso.
"La perfezione non esiste, e se esistesse sarebbe una banale rottura di palle. Noi siamo un mucchio di imperfezioni che cercano di incontrarsi con un altro mucchio di imperfezioni" dice spegnendo le luci e accompagnandomi all'uscita.
"Quindi non aver paura di mostrarti imperfetto, perché lo sei, lo è anche il tuo ragazzo, lo siamo tutti. E credo sia proprio questo il bello della vita."

"

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Mal di gioia - Parte 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora