Capitolo 22

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Attenzione: Nel seguente capitolo sono presenti riferimenti espliciti ai disturbi mentali e nello specifico al DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) che potrebbero non essere adatti per alcuni di voi.

"Signorina gliel'ho già detto, se ci saranno novità sarete avvisati."
Elisa fissa il dottore entrare nella zona della terapia intensiva con uno sguardo carico di rabbia. Probabilmente se in questo momento osservassi con attenzione le sue narici, potrei notare del fumo che ne fuoriesce come fossero due piccole ciminiere roventi.
"Cazzo, sto sclerando" sbotta sedendosi di malodomo al mio fianco.
"A chi lo dici..."
"Quello ha proprio una faccia da culo. 'Se ci saranno novità sarete avvisati'... Giuro che la prossima volta gli do una testata."
"Sì, così poi ti becchi una denuncia e un ricovero per trauma cranico."
Entrambi scoppiamo a ridere, con l'amarezza della situazione che stiamo vivendo a farci da sfondo per pochi secondi, ritornando prepotente al suo posto in un batter d'occhio, quasi non ci fosse più spazio per l'allegria.

Il silenzio accoglie le prime luci dell'alba, timide e quasi prive del loro solito colore delicato. Le guardo attraversare le tendine rigide delle vetrate in fondo a quel corridoio che sta iniziando a diventare claustrofobico e opprimente.
Leonardo sarebbe voluto passare prima di andare al lavoro, ma gli orari dei pullman non coincidono minimamente con i suoi. Avrebbe voluto chiamare un taxi, trascorrere la notte con me, ma i suoi genitori glielo hanno impedito.
Così ci siamo adattati all'unica opzione disponibile: abbiamo attraversato le ultime ore insieme, scambiandoci messaggi, e sonnecchiando di rado, distanti ma vicini.

"Come stai?"
La domanda di Elisa mi coglie alla sprovvista, riportandomi bruscamente alla realtà.
"B-bene, bene..." gracchio schiarendomi la voce che sembra quasi non voler uscire.
Lei inarca le sopracciglia, stringendo le labbra.
"Sicuro?"
So a cosa si sta riferendo, ma non è il caso di gettare ulteriore benzina sul fuoco che ci sta divorando.
"Sicuro."
Non ci crede, ma fa finta di farlo.
"Ok."
Abbozzo un sorriso che vuole essere il più rassicurante possibile, mascherando un disagio palese, sopratutto agli occhi di Elisa.
"Vittorio sarà qui tra poco. Gli chiedo di portarti a casa, così ti riposi, mangi qualcosa, fai un po' di compagnia a Lana che ultimamente è un po' giù..."
"In che senso?"
"È meno reattiva del solito, il veterinario ha detto che probabilmente è l'età che avanza."
"Ma non è anziana."
"È vecchia dentro."
"Un po' come me..." sussurro con un mezzo sorrisino.
"Già..."
"Comunque non mi va di lasciarti qui da sola, poi anche tu dovresti dormire come si deve."
"Tranquillo, ci alterniamo. Se tornassi a casa potresti anche recuperare la macchina, così non usiamo Vittorio come autista per qualsiasi spostamento."
"Però..."
"Oggi pomeriggio ritorni qui e io vado farmi una doccia e un paio d'ore di sonno, puzzo d'ospedale."
"E va bene" mormoro con un sospiro, mentre mia sorella si stiracchia con aria compiaciuta allungandomi le chiavi di casa.

Vittorio è un tipo di poche parole. Guida con calma districandosi nel traffico mattutino che riempie il breve tratto di strada che separa l'ospedale dall'appartamento di mio padre. Osservo attraverso il finestrino vie che riconosco e che non ho dimenticato, nonostante non viva più qui da parecchi mesi. Ogni tanto mi sembra di cogliere con la coda dell'occhio il viso di Vittorio girarsi nella mia direzione per qualche frazione di secondo, come per volermi dire qualcosa, scegliendo ogni volta di rimanere in silenzio.
"Grazie del passaggio" gli dico aprendo lo sportello dell'auto e apprestandomi ad uscire.
"Figurati."
"Ci vediamo dopo."
"Senti, Michele... volevo dirti che mi dispiace per vostro padre."
"Ti... ti ringrazio."
"Forse ieri non avrei dovuto farmi trovare lì. So che non faccio parte della vostra famiglia, che non mi conosci e che molto probabilmente non ti fidi. Non volevo essere inopportuno, ma Eli aveva bisogno d'aiuto..."
"Mi fido di Elisa. E se lei ha fiducia di te, so di potermi fidare anch'io. Quello che hai fatto significa molto, non lo dimenticherò."
Vittorio accenna un sorriso che ricambio con un saluto. Scendo dalla macchina e il ragazzo si allontana tranquillo in direzione dell'ospedale.

Lana mi accoglie sull'uscio di casa scodinzolando con meno energia del solito, ma con lo stesso affetto di sempre. Vittorio in questi due giorni si è occupato anche di lei. A detta di mia sorella, la cagnolina lo adora. Mi siedo su pavimento vicino alla sua cuccia a lato del divano e lei mi sale in braccio, accomodandosi su me come quando era piccola. La sento sbuffare e rasserenarsi quasi all'istante. Un silenzio freddo sembra aver cristallizzato alcune scene di vita: la sedia di mio padre fuori posto, la tovaglia storta sul tavolo in parte riversa sul pavimento, i bicchieri colmi d'acqua non bevuta. È rimasto tutto fermo al momento dell'infarto. Dei brividi mi percorrono la schiena, passano dal collo e arrivano alla nuca. Ed eccolo di nuovo, quel bruciore invadente e conosciuto. Eccoli lì i pensieri intrusivi.

"Non mettere in ordine o tuo padre muore."

Deglutisco, chiudo gli occhi e rallento l'affanno. Bacio la testolina di Lana e la sposto sul divano, mentre continua a ronfare beata. Mi alzo un po' a fatica e inizio a sistemare la sala da pranzo, lavo i piatti e preparo il cibo alla cagnolina. Prendo la biancheria dallo zaino e mi dirigo verso il bagno. L'acqua che mi scorre sul corpo sembra portare via alcune idee ben poco piacevoli che fanno festa nella mia testa. Ma non appena queste si disperdono, eccone altre ancora più insistenti che prendono il loro posto.

"Fatti un'altra doccia o tuo padre muore."

"Non accarezzare il cane o tuo padre muore."

"Non dormire nella tua stanza o tuo padre muore."

La mia vecchia camera è rimasta esattamente come l'ho lasciata. Ci sono solo un paio di scatoloni degli addobbi natalizi mezzi vuoti in un angolo e il letto con un cambio di lenzuola pulito. Mi sdraio sospirando sul materasso, le palpebre sono pesanti, il corpo fiacco.
Il cellulare vibra al mio fianco, è Leo.
Mich, ci sono novità?
Nessuna, a parte il fatto che Elisa mi ha convinto a tornare a casa fino al pomeriggio.
Almeno così ti riposi.
Lei mi ha detto la stessa identica cosa. Cos'è, vi siete messi d'accordo?
Ovvio.
Un sorrisetto mi increspa le labbra.
Tu hai dormito un po'?
Sì... vorrei essere lì con te.
Lo vorrei anch'io.
Sto per iniziare il turno. Proverò a scriverti il più possibile, ma il capo oggi è in vena di rompere le palle... continua a sbraitare come uno scemo da un quarto d'ora.
Non ti preoccupare, ti avviso io se ci fanno sapere qualcosa.
Ok, a dopo bellissimo. Ti amo.
Buon lavoro carino. Ti amo.

Tiro le coperte fin sotto al mento. Il suono di uno zampettio percorre il corridoio, arriva al bordo del letto, si ferma e tutt'a un tratto Lana si fa spazio accanto alle mie gambe, accoccolandosi vicino a me.
Allungo una mano verso di lei e con la punta delle dita ne incontro il muso. Lei mi lecca la mano, mentre tra le mie guance si fa spazio un sorriso. Il mio cervello continua a dimenarsi, pretende di essere ascoltato. Sono troppo stanco per prestargli attenzioni. I pensieri ritornano ad impastarsi uno con l'altro, confusi e poco sensati. Sospiro, chiudo gli occhi e mi addormento.

 Sospiro, chiudo gli occhi e mi addormento

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Mal di gioia - Parte 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora